Renzi d'Arabia, ora ad accusarlo è anche la fidanzata di Khashoggi. A quando le dimissioni?
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Renzi d'Arabia, ora ad accusarlo è anche la fidanzata di Khashoggi. A quando le dimissioni?

Hatice Cengiz accusa il senatore di Rignano: "Non è possibile essere ben informati sull'Arabia Saudita e allo stesso tempo sostenere che il principe ereditario Mohammed bin Salman sia un riformatore".

Hatice Cengiz, fidanzata del reporter Jamal Khashoggi
Hatice Cengiz, fidanzata del reporter Jamal Khashoggi
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

3 Marzo 2021 - 15.52


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Un senatore a libro paga di un principe assassino. Un ambasciatore costretto a prendere, diplomaticamente parlando, schiaffi in faccia a ripetizione dal capo del regime che ha trucidato un cittadino italiano e che gioca con la vita di un giovane studente che ha scelto l’Italia, Bologna, per costruire il suo futuro.

Matteo Renzi e Patrick Zaky. Da che parte state? Non è una domanda retorica in un Paese in cui un Governo e la stragrande maggioranza dei parlamentari non hanno nulla fa dire sullo scandalo Renzi-MbS.

C’è un parlamentare a Roma

I rapporti tra Matteo Renzi e il regime dell’Arabia Saudita arrivano in Parlamento. Il leader di Sinistra italiana, Nicola Fratoianni, ha presentato un’interrogazione parlamentare al presidente del Consiglio Mario Draghi per capire “di quali ulteriori elementi dispone il governo italiano in merito ai fatti” e “quali iniziative intenda intraprendere al fine di prevenire possibili situazioni di conflitti d’interesse con Paesi stranieri, anche per far fronte ai richiami dell’Unione europea ad approvare norme più stringenti in materia”. Fratoianni usa parole molto dure, definendo “inopportuno che un ex Presidente del Consiglio, senatore in carica e leader di un partito, viaggi su un jet privato offerto dal fondo sovrano di un altro Paese e percepisca un compenso da una fondazione di uno Stato estero che promuove gli interessi internazionali di quello stesso Stato”. Come se non bastasse, non è “irrilevante”, il fatto che Renzi, in quanto “membro della Commissione Difesa del Senato italiano” riceva pagamenti “da uno Stato straniero”. E non un Paese qualunque: Riyadh,  continua il deputato, è governata “da un principe ereditario di una monarchia illiberale e feudale nonché uno dei maggiori acquirenti di armamenti del mondo, il 12% di tutte le armi vendute in larga parte utilizzate in Yemen“.

L’interrogazione parlamentare di Fratoianni arriva dopo che nei giorni scorsi il leader di Iv ha deciso di auto-intervistarsi sul caso, nonostante avesse promesso di convocare una conferenza stampa per spiegare i suoi rapporti col regno Saud.

Globalist ha sollecitato ripetutamente, con articoli e interviste, una iniziativa parlamentare che nomi i rapporti tra rappresentanti istituzionali italiani (deputati, senatori, membri di Governo etc..) con Stati stranieri. Soprattutto quando questi Stati, come l’Arabia Saudita, fanno scempio dei diritti umani. La questione è molto semplice e può essere sintetizzata così: vuoi essere pagato da uno Stato straniero quando ricopri ancora funzioni istituzionali? Allora la decadenza dalla funzione è automatica. E dunque Matteo d’Arabia sarebbe un ex senatore. 

Contro l’oblio

 La vicenda è nota, ma vale la pena di ricordarla: in piena crisi di governo Renzi ha partecipato a Riyadh agli eventi della fondazione Future Investment Initiative Institute (del cui advisory board è membro con un compenso fino a 80mila euro annui). Definendo peraltro il Paese il luogo di un “nuovo Rinascimento” nonostante il caso Khashoggi e la sistematica violazione dei diritti umani che va avanti da anni. “Il rientro improvviso del sen. Renzi dall’Arabia Saudita sarebbe avvenuto a bordo di un volo privato pagato dal FII, Future investment initiative institute, Fondazione saudita nata per decreto del Re all’inizio del 2020, organizzatrice dell’evento citato e del cui advisory board lo stesso sen. Renzi farebbe parte”, scrive Fratoianni. “E avrebbe usufruito per il volo Riyad-Roma di un jet Gulfstream G450 di una compagnia privata con sede a Riyadh, il valore di questo servizio ammonterebbe a circa 28.600 dollari“. Il punto è che Renzi fa parte della commissione difesa del Senato ed “è leader del partito politico ‘Italia Viva’ che esprime Ministri e sottosegretari i quali contribuiscono a decidere l’indirizzo politico del governo italiano. A parere dell’interrogante la circostanza che chi riveste un ruolo politico e istituzionale di grande rilievo nel nostro Paese, possa contemporaneamente ricevere compensi da uno Stato straniero, desta grande preoccupazione“

A mettere sotto accusa “Matteo d’Arabia” è anche Claudio Martelli. Il già ministro della Giustizia e attuale leader del Psi, scrive: “Quale impulso autodistruttivo spinge Renzi a rivendicare, come una parcella da conferenziere, gli 80.000 euro del principe ereditario saudita? Possibile non capisca che un parlamentare in carica non può accettare denaro da un capo di governo straniero?”. Prosegue Martelli: “Non è un illecito, è molto peggio, è un errore politico grande come una casa.  Se non vuole autorizzare i suoi avversari a dire che la sua reputazione vale meno di 80.000 euro riconosca l’errore e restituisca l’assegno”.

Persino grandi gruppi come il New York Times e la Cnn hanno boicottato la Future Investment Initiative. Ma tutto questo Renzi non lo dice. 

“Chiunque guardasse i telegiornali sapeva che quel principe saudita era dietro il sequestro e l’uccisione di un oppositore politico. Ragioni minime di opportunità avrebbero dovuto suggerire a Renzi di non andare”, annota Gianfranco Carofiglio a Otto e Mezzo. 

La fidanzata di Khashoggi accusa

Non è possibile essere ben informati sull’Arabia Saudita e allo stesso tempo sostenere che il principe ereditario Mohammed bin Salman sia un riformatore. Proprio non capisco perché” l’ex premier italiano Matteo Renzi “lo abbia fatto. Forse deve cercare di capire meglio la realtà della situazione in Arabia Saudita e cosa bin Salman ha fatto a Jamal”. A dirlo, in un’intervista all’Ansa Hatice Cengiz, fidanzata del giornalista dissidente Jamal Khashoggi.

Piazzista d’armi

Durante il governo Renzi l’Italia ha toccato il picco nelle esportazioni di armi. Un record, come ben documentato da Raphaël Zanotti su La Stampa, ottenuto anche grazie alle ricche commesse arrivate proprio da Riad. Nel 2013, l’anno precedente all’arrivo di Renzi a Palazzo Chigi, l’Italia aveva autorizzato l’esportazione di armi per un valore di 2,1 miliardi di euro. Ma questa cifra, nel corso dei 1024 giorni passati al governo, è cresciuta del 581% arrivando a toccare i 14,6 miliardi di euro come documentato da Giorgio Beretta dell’Opal di Brescia, l’osservatorio permanente sulle armi leggere. Un record che ha fatto impallidire persino Silvio Berlusconi che qualche tempo prima, all’inaugurazione dell’M-346 a Venegono, si era proposto come «commesso viaggiatore» per l’industria bellica italiana.  Negli anni di Renzi il governo di Riyadh otterrà l’autorizzazione a ricevere oltre 855 milioni di euro in armamenti contro i poco più di 170 milioni del triennio successivo. A spingere verso l’alto la cifra c’è l’autorizzazione alla più massiccia esportazione di bombe che l’Italia abbia mai rilasciato. Si tratta di quasi 20.000 ordigni commissionati alla Rwm Italia per un ammontare di 411 milioni di euro. Il numero Mae dell’operazione è il 45650. È un numero importante perché, essendo progressivo, fornisce un’indicazione temporale: è nel 2014, quindi già con Renzi al governo, che iniziano le trattative per la commessa. L’autorizzazione effettiva arriverà però solo nel 2016 ma anche questa indicazione temporale è importante perché all’epoca le Nazioni Unite avevano già condannato i bombardamenti effettuati dalla Royal Saudi Air Force su centri abitati, ospedali e scuole dello Yemen. Azioni militari, secondo il gruppo di esperti dell’Onu, ‘possono costituire crimini di guerra’.

Sequestrato dal presidente-carceriere

Mentre il capo di Italia Viva continua a sedere a Palazzo Madama, e a difendere la sua performance saudita, un giovane studente continua a marcire in un mefitico carcere di massima sicurezza egiziano. Ieri è stata confermata ancora una volta la custodia cautelare per l’attivista Patrick Zaki, in carcere ormai da quasi un anno. Il ragazzo dovrà restare per altri 45 giorni nel carcere cairota di Tora nonostante l’ultima conferma di 15 giorni (rispetto ai 45 prima assegnati) aveva fatto sperare in un altro esito. “È confermato”, si è limitata a dire al telefono la legale del ragazzo. Il prolungamento della carcerazione di un altro mese e mezzo per lo studente egiziano dell’università di Bologna era stato reso noto l’altro ieri da diversi media egiziani e confermato da una fonte giudiziaria all’Ansa. La fuga di notizie era stata stigmatizzata da Amnesty Italia sostenendo che in Egitto i diritti dei detenuti “valgono meno di zero”.

Va ricordato che Zaki  è detenuto da quasi un anno con l’accusa di propaganda sovversiva, essendo stato arrestato il 7 febbraio 2020 mentre tornava in Egitto per una vacanza. L’ultima conferma di custodia cautelare era stata il colpo di grazia per i familiari di Patrick, che si erano dichiarati sfiniti ormai dalle vicende giudiziarie e dalle condizioni disumane in cui il giovane vessa durante le udienze. L’ultima volta il suo caso era stato trattato con quello di altri 700 detenuti e non gli è stato permesso di sedersi e bere per tutta l’attesa del suo processo.

“Con questa decisione, l’ennesima di prolungare la detenzione cautelare di Patrick Zaki, mi pare evidente che le autorità egiziane intendano accanirsi usando tutto il tempo previsto dalla legge per tenere in carcere un innocente, ossia il limite dei due anni per il rinnovo della detenzione cautelare”, sottolinea Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International. “Patrick è un prigioniero di coscienza a cui non viene data la possibilità di difendersi dalle accuse fabbricate nei suoi confronti. Se questo è l’obiettivo delle autorità, è necessario che la reazione italiana, della Farnesina e di tutte le istituzioni sia decisa e porti a pretendere la liberazione di Patrick. Non c’è altro da aspettare: va fatto qualcosa subito”.

Giriamo la richiesta al presidente del Consiglio. Con una domanda: Presidente Draghi, Lei sta con il Renzi d’Arabia o con Patrick Zaki, a rischio vita in un carcere egiziano?

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