Afghanistan, Aukus e la Nato in pezzi viaggio in un'alleanza che sta franando

La crisi dei sottomarini "peserà sul futuro della Nato", afferma il ministro degli Esteri francese Le Drian parlando di "rottura grave della fiducia". Ed è l'ultimo capitolo di una crisi di lunga durata

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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

19 Settembre 2021 - 13.43


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Un’alleanza disfatta. La Nato. Prima l’Afghanistan, ora il caso Aukus. 

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La Nato disfatta

La crisi dei sottomarini “peserà sul futuro della Nato”, afferma il ministro degli Esteri francese Le Drian parlando di “rottura grave della fiducia”. E sottolinea: “Per la prima volta nella storia fra gli Usa e la Francia abbiamo richiamato il nostro ambasciatore per consultazioni; un atto politico pesante che rappresenta la gravità” della situazione. 

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L’Australia è stata “franca, aperta e onesta” con la Francia in merito alle preoccupazioni concernenti un cospicuo accordo per l’acquisto di sottomarini francesi – che ha superato il budget e previsto anni di ritardo- prima di strapparne il contratto, ha detto oggi il ministro della Difesa australiano Peter Dutton.   Parlando con Sky News Australia, Dutton ha affermato di aver compreso il “fastidio dei francesi”, ma ha aggiunto che “le suggestioni secondo cui il governo australiano non avrebbe segnalato le sue preoccupazioni sfidano, francamente, ciò che è agli atti pubblici e certamente ciò che è stato detto pubblicamente per lungo tempo: il governo ha avuto questi problemi, li abbiamo espressi e vogliamo lavorare a stretto contatto con i francesi e continueremo a farlo in futuro”, ha affermato.  La Francia è furiosa per la decisione dell’Australia di recedere da un contratto da 90 miliardi di dollari australiani(56 miliardi di euro) per l’acquisto di sottomarini francesi a favore di imbarcazioni a propulsione nucleare statunitensi. Ha richiamato i suoi ambasciatori a Canberra e Washington e ha accusato i suoi alleati di “mentire” sui loro piani.   Dutton ha detto di aver espresso personalmente quelle preoccupazioni alla sua controparte francese Florence Parly e h asottolineato la “necessità che l’Australia agisca nel suo interesse nazionale”, che ha detto è quello di acquistare sottomarini a propulsione nucleare.   Secondo Dutton, Canberra non è stata in grado di acquistare quelli francesi perché devono essere ricaricati, a differenza dei sottomarini statunitensi: quindi solo questi ultimi sono adatti all’Australia denuclearizzata.

C’è un futuro euroatlantico?

La parola a chi ne sa. Come Laura Boldrini, già  portavoce in Italia dell’Unhcr, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, successivamente presidente della Camera dei Deputati e oggi parlamentare dem.  L’Afghanistan come cartina al tornasole di una crisi di portata strategica.

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“L’uscita caotica e drammatica dall’Afghanistan  – annota Boldrini – si basa su un accordo scellerato e anche disonorevole: quello voluto da Donald Trump per sue esigenze elettorali e non per il bene degli afghani. Questo accordo, peraltro, non gli è servito neanche a questo scopo, visto l’esito delle elezioni presidenziali. Quello di Doha è un accordo che pone anche pesanti interrogativi sul senso dell’Alleanza atlantica, della Nato. Perché se si tratta di un’alleanza, c’è da chiedersi come sia possibile che uno dei membri, senza minimamente coinvolgere gli altri, anche se azionista di maggioranza, possa prendere decisioni così importanti in solitaria. Ci vorrà una riflessione profonda su come funziona la Nato e anche sul fatto che le missioni militari falliscono. Falliscono se hanno come obiettivo sconfiggere il terrorismo, e falliscono se il loro fine è quello di esportare la democrazia. Il mondo dopo le due grandi operazioni militari in Iraq e in Afghanistan oggi è più sicuro? La risposta che io dò è no. Perché c’è stato un proliferare di componenti terroristiche che si sono insediate nel territorio nonostante la presenza militare multinazionale”.

Riflette in proposito l’ambasciatore Antonio Armellini. Nella sua lunga carriera diplomatica, è stato collaboratore di Aldo Moro alla Farnesina e a Palazzo Chigi, portavoce di Altiero Spinelli alla Commissione di Bruxelles, ambasciatore in Algeria, in India, all’Ocse a Parigi, roving ambassador alla Csce a Vienna e Helsinki, capo della missione italiana in Iraq nel 2003-04. Insomma, uno che la materia la conosce come le sue tasche.

Alla domanda se l’Afghanistan può essere ritenuto il “cimitero della Nato”, l’ambasciatore Armellini risponde così:Il discorso sulla Nato, a mio avviso, va al di là di questa vicenda: Lo dico con una battuta: è dal 1989 che la Nato deve capire cosa fare da grande. C’è stato un momento in cui, un po’ tutti, abbiamo creduto alla fine della Storia. La Nato era il “gendarme bonario” di questa fine. Tutto questo è poi durato molto poco, in realtà. Si sono ricreate una serie di contraddizioni che non sono ancora conflitti, rispetto alla quale la Nato sente come una nostalgia del passato e non riesce ad adattarsi al presente. La Nato come “gendarme” dell’ordine mondiale andava bene allora, ammesso che andasse bene, prima del crollo del muro di Berlino e del disfacimento dell’Urss e dell’impero sovietico, cioè prima della “fine della Storia”. Adesso, non è chiaro che cosa serve. Però si è detto, in Afghanistan e in tutti gli altri interventi umanitari, che la Nato era lo strumento attraverso il quale promuovevamo stabilità e soprattutto democrazia nel mondo. E allora torno al punto di prima, agli obiettivi cambiati nel corso dei vent’anni. La Nato ci è andata correttamente in base all’articolo V del suo trattato costitutivo, cioè per rispondere ad un’aggressione al territorio americano. E questo è giustissimo. Abbiamo fatto fuori al-Qaeda, l’articolo V è stato rispettato. La Nato deve capire sempre di più cosa deve fare da grande. Anche perché adesso ci troviamo dinanzi a un’America che attraversa uno dei suoi periodici cicli di isolazionismo. C’è dunque da ridefinire il parametro di questa alleanza e quale sia il ruolo dei suoi partner europei. Noi continuiamo a ritenere la Nato fondamentale per la sicurezza in Europa. Allora lo era in un contesto antagonista. Se dovesse ritornare ad esserlo, come ogni tanto qualcuno teme o vorrebbe, il problema diventa molto serio. Intanto, non si capisce noi perché dovremmo spingerlo e in secondo luogo non si capisce quale garanzia ci darebbero gli americani.

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La stessa domanda la rivolgiamo a Marina Sereni, Vice ministra degli Esteri con delega alla Cooperazione internazionale: “In Afghanistan – afferma Sereni –  nel corso dei secoli, sono in tanti ad aver sperimentato quanto sia difficile sottomettere quel Paese non dico a un’autorità ma anche a un’influenza straniera. Sulla scorta di quanto accaduto agli inglesi nel XIX secolo e ai sovietici nel XX, nel 2001 l’amministrazione Bush evitò un’invasione diretta di terra da parte americana. Il dispiegamento militare occidentale avvenne solo dopo la vittoriosa presa di Kabul da parte dell’allora Alleanza del Nord, una conquista resa possibile certamente grazie al supporto aereo e logistico occidentale ma che ufficialmente era stata ottenuta da afghani anti-talebani. Questo schema di guerra asimmetrica è stato all’epoca congeniale agli obiettivi dell’Occidente, soprattutto in funzione della lotta al terrorismo di Al-Qaeda. Poi è entrata in campo la Nato, che in questi anni ha condotto una missione molto importante nella sua storia di organizzazione militare di quella parte di mondo che definiamo Occidente.  Credo che questa sconfitta richieda di accelerare una riflessione strategica sul ruolo della Nato, sulle minacce vecchie e nuove che è chiamata ad affrontare. E anche sul rapporto tra Stati Uniti e Alleati all’interno della Nato. Trovo tuttavia fuori luogo alcuni commenti che ammiccano con qualche soddisfazione a quanto avvenuto, soprattutto in un’ottica anti-americana. Proprio perché la più grande potenza mondiale mostra una fragilità, è il momento di stringerci intorno agli Stati Uniti, discutere con franchezza e cercare delle risposte. Non esiste l’Occidente senza gli Stati Uniti, non possiamo non essere preoccupati di un indebolimento del nostro maggiore alleato. Dobbiamo evitare di dividerci, perché questo sarebbe un grande regalo al terrorismo. E c’è un punto che riguarda l’Europa: anche la vicenda afghana ci dice che le priorità geopolitiche tra Europa e Stati Uniti possono non sempre coincidere. Questo significa che l’Europa deve fare sul serio quando parla di “autonomia strategica” e che serve una accelerazione sul terreno della politica estera e della difesa comune. L’Italia, insieme ai principali Paesi europei a cominciare da Francia e Germania, deve e può dare un contributo in questa direzione. Infine penso che sia molto importante che sul futuro dell’Afghanistan si riescano a coinvolgere altre potenze, come la Russia e la Cina, da cui differiamo su tantissime cose sul piano dei valori ma che sono interessate a contrastare il terrorismo e a mantenere la stabilità in Asia Centrale. Il ruolo dell’Italia come Presidenza del G20 è in questo senso molto importante. Altrettanto essenziale è il coinvolgimento e la collaborazione con Paesi che hanno una influenza in Afghanistan, come il Qatar, e con quelli della regione che non possono essere lasciati soli a gestire l’ondata dei rifugiati, come Pakistan, Iran, Tagikistan, Uzbekistan”.

Altra persona che ne sa di alleanze, diplomazia e geopolitica è l’ambasciatore Sergio Romano. Nella sua lunga e prestigiosa carriera diplomatica, è stato, tra l’altro, ambasciatore presso la Nato e ambasciatore a Mosca (1985-1989), nell’allora Unione Sovietica. E stato visiting professor all’Università della California e a Harvard, e ha insegnato all’Università di Pavia, a quella di Sassari e alla Bocconi di Milano.

Rimarca Romano: “ La Nato è a caccia di un ruolo internazionale. Con la fine della Guerra fredda, la Nato è finita tra i disoccupati. E siccome a un certo punto, qualche persona, anche in buona fede, ha pensato che dopotutto la Nato rappresenta pur sempre un legame con gli Stati Uniti che non sarebbe prudente mandare a carte all’aria, e allora c’è questo tentativo della Nato di rivalutare se stessa, di dimostrare uno scopo, una qualche utilità. Io guardo soprattutto a noi, all’Europa, perché in Europa ci sono Paesi e gruppi politico-sociali che questo discorso sulla Nato lo fanno. Questo discorso di rivalutazione della Nato con queste funzioni, presenta per noi uno straordinario svantaggio. Perché ci fa dimenticare che la prossima mossa dell’Unione Europea è ricostruire la Ced, la Comunità Europea di Difesa che poi saltò al Parlamento francese. Noi dobbiamo dar rinascere la Ced. Non si chiamerà più così, si chiamerà Unione Europea di Difesa o qualcosa del genere. Noi non abbiamo bisogno della Nato. Noi abbiamo bisogno dell’Unione Europea di Difesa”.

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Quanto alla disfatta militare, ecco il pensiero del generale Vincenzo Camporini, già Capo di Stato Maggiore della Difesa, e prim’ancora dell’Aeronautica militare, consigliere scientifico dello Iai (Istituto affari internazionali), uno dei più autorevoli analisti militari: “Al momento del massimo picco d’impegno della coalizione – spiega Camporini – c’erano in Afghanistan intorno ai 140mila uomini e donne in divisa. Se lei prende la superficie dell’Afghanistan, molto compartimentata, con collegamenti molto difficoltosi e dunque con una scarsa possibilità di supporto fra unità adiacenti, e divide la superficie per il numero dei soldati, si rende conto che certamente non veniva rispettato un minimo criterio di controllo del territorio. Non c’erano abbastanza soldati. Ce ne sarebbero voluti almeno quattro volte tanti. Ma quattro volte tanti era uno sforzo che l’Occidente non era disposto né poteva fare. E così alla fine il controllo del territorio è rimasto nelle mani di chi poteva in qualche modo ricattare le popolazioni locali con atteggiamenti molto duri ottenendone il supporto per continuare a combattere. L’Occidente alla fine si è stancato ed è tornato a casa. Dal punto di vista militare non c’è stata una sconfitta. C’è soltanto una presa d’atto, sia pur molto dolorosa, che lo sforzo che si stava facendo non era più sostenibile e a questo punto i governi occidentali hanno detto, in parole povere, vabbè allora arrangiatevi per i fatti vostri. In particolare gli americani”.

Quanto poi alla presunta vittoria nella “guerra al terorismo”, chi ha le idee molto chiare in proposito è Lucio Caracciolo, direttore di Limes, la più autorevole rivista italiana di geopolitica: “Immaginare di vincere una guerra al terrorismo è una contraddizione in termini – osserva Caracciolo –  perché, come è noto, il terrorismo non è un soggetto geopolitico ma sono delle modalità che vengono utilizzate, tra l’altro in alcuni casi anche dagli Stati, in caso di guerra. Anche se discutibile, si può capire, nell’autunno 2001, la necessità di una spedizione militare che desse il senso all’opinione pubblica americana che l’America, dopo le Torri Gemelle, non stava lì a subire, dopodiché non è che ti vai a piazzare per vent’anni in un Paese ingovernabile, spendendo e spandendo una quantità mostruosa di risorse, con migliaia di morti tuoi e di Paesi alleati. Francamente un bilancio che più catastrofico è difficile immaginarlo, considerando cos’è l’Afghanistan, e cioè non un Paese esattamente centrale nella geopolitica internazionale”.

 La conclusione del nostro giro di orizzonte sull’alleanza disfatta, non potrebbe essere dei più autorevoli. La parola all’ambasciatore Giampiero Massolo. Presidente di Fincantieri S.p.A. (dal 2016) e Presidente dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale – ISPI (dal 2017). l’ambasciatore Massolo, diplomatico di carriera, ha svolto funzioni di Direttore Generale del Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza presso la Presidenza del Consiglio (2012-2016), di Sherpa del Presidente del Consiglio dei Ministri per i Vertici G8 e G20 (2008-2009), di Segretario Generale del Ministero degli Affari Esteri (2007-2012I.

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“Io non credo affatto che l’alleanza occidentale sia finita – dice Massolo – e non credo affatto che la Nato, che è poi la sede naturale attraverso la quale si articola il rapporto fra gli Stati Uniti e l’Europa nelle questioni di sicurezza, sia venuta meno. Certo, è chiaro che gli europei devono prendere atto dal fatto che l’interesse nazionale di sicurezza degli Stati Uniti si sposta sempre di più verso un altro scacchiere che è quello dell’Asia sudorientale, dei rapporti con la Cina e sempre meno coinvolge il cosiddetto Medio Oriente allargato. Proprio per questa stessa ragione gli Stati Uniti da un lato si aspettano che l’Europa faccia la sua parte quando ci sono in gioco gli interessi di sicurezza europei, ma dall’altro lato Washington non può dimenticare o non tener conto che esistono delle differenze di sensibilità dal punto di vista della sicurezza. Quindi, solidarietà alleata ma non si possono ignorare le differenti esigenze, le differenti sensibilità e poi le differenti conseguenze che questo ha sul campo. Tutto ciò evidentemente comporterà, per un verso, la necessità per l’Europa di articolare meglio la propria difesa, la propria sicurezza, la propria capacità di stare negli scenari dai quali dipende la sicurezza europea; da un altro verso comporterà una ridefinizione del rapporto fra le due sponde dell’Atlantico perché fra alleati bisogna anche tenere conto delle diverse esigenze di ciascuno”.

Alleanza disfatta. Alleanza necessaria. Il dibattito è aperto. Una cosa è certa: l’uno-due Afghanistan-Aukus dice che l’Alleanza di un tempo , il tempo della Guerra fredda, del mondo diviso in due blocchi, non c’è più. E provare a “resuscitarla” è uno sforzo inutile, anacronistico, dannoso.   

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