Siria post-Assad tra fine delle sanzioni, accordo con i curdi e rischio jihadista: la difficile sfida di al-Sharaa
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Siria post-Assad tra fine delle sanzioni, accordo con i curdi e rischio jihadista: la difficile sfida di al-Sharaa

La nuova Siria di al-Sharaa cerca di superare le sanzioni, integrare i curdi e combattere l’Isis, ma resta divisa tra correnti interne e pressioni esterne.

Siria post-Assad tra fine delle sanzioni, accordo con i curdi e rischio jihadista: la difficile sfida di al-Sharaa
Ahmed al-Sharaa leader della Siria post Assad
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Riccardo Cristiano Modifica articolo

28 Ottobre 2025 - 18.28


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Ore delicatissime per il futuro della Siria. Dopo la decisione del presidente Trump di togliere le sanzioni alla Siria che solo lui poteva rimuovere, anche il Senato ha deciso di fare la sua parte ed ha votato nei giorni scorsi per la rimozione delle restanti sanzioni, di competenza del Congresso. La corsa contro il tempo per riuscire a rimuoverle entro la fine dell’anno porta in primo piano i lavoro alla Camera dei Rappresentanti. Se il testo approvato al Senato venisse ratificato il Presidente al-Sharaa potrebbe brindare, le sanzioni internazionali – dopo analoga decisione adottata anche in sede ONU su pressione statunitense- sarebbero davvero finite. Ma se una nuova proposta di legge, presentata in questi giorni alla commissione Finanze, introducendo un altro meccanismo sanzionatorio, venisse approvata, allora tutto tornerebbe in discussione e difficilmente si potrebbe trovare una soluzione positiva per al-Sharaa entro l’anno. Ma qual è il problema? Perché esitare? Il modo migliore per arrivare a capire la questione è quello militare, dal quale emerge il vero nodo della questione siriana. 

Da quando i miliziani di al-Sharaa hanno conquistato la Siria e il palazzo presidenziale di Damasco, costringendo Bashar al-Assad alla sua indecorosa fuga a Mosca con a bordo del suo volo tanti lingotti d’oro della banca centrale siriana, la nuova Siria, islamista e di origini jihadiste, ha assicurato di aver voltato pagine e di non considerare la coalizione anti-Isis un nemico, ma un alleato. Coordinata dagli americani che hanno ancora un contingente limitato in Siria, questa coalizione anti-Isis è operativa da un decennio grazie ai curdi, che si autogovernano nel quasi indipendente nord-est della Siria. Si tratta delle Syrian Defence Forces, SDF. 

Nel corso dei mesi trascorsi una forma di coordinamento con l’esercito ufficiale siriano, quello costruito in fretta e furia dal nuovo governo guidato da Ahmad al-Sharaa, è divenuto concreto, operativo sul terreno. Il suo punto più alto si è avuto nei giorni trascorsi, il 18 ottobre, quando l’esercito ufficiale siriano ha compiuto insieme agli uomini della coalizione una grande operazione nei territori da loro controllati, nei pressi di Damasco, arrestando Masoud al-Badri, uno dei principali leader del nuovo Isis. Il ritorno all’operatività degli uomini di quella che fu l’organizzazione di al-Baghdadi è evidente soprattutto nella zona di Palmira e nel sud del Paese. Risvegliano le cellule dormienti, contano su circa 3mila uomini, che pagano tramite il mercato nero, e li organizzano in gruppi di massimo dieci unità, anche per sottrarsi più agevolmente al controllo aereo. Dunque quella attuale è una situazione che gli esperti definiscono di cellule “semi-dormienti”.   

Il successo di ottobre è giunto dopo una riunione molto importante dei vertici siriani nel trascorso mese di settembre, nel corso della quale si è deciso di andare avanti nella cooperazione con la coalizione anti Isis, ma senza entrarvi. Damasco preferirebbe che ciò avvenisse dopo la definitiva rimozione delle sanzioni, mentre alcuni ambienti occidentali preferirebbero il contrario, cioè che la definitiva rimozione delle sanzioni seguisse l’adesione siriana alla coalizione anti Isis. Ma Damasco sarebbe pronta a questo passo? Colpiscono molto alcuni dati di fatto: l’esercito ufficiale siriano è ancora un’organizzazione molto approssimativa, nella quale ci sono jihadisti stranieri da tutti considerati attigui al loro vecchio mondo, quello dell’Isis. Finché al-Sharaa non sarà in grado di rimuovere queste sacche jihadiste dal suo esercito sarebbe opportuno far entrare l’esercito ufficiale siriano nella coalizione? Per rimuoverli occorre essere sicuri di poterne fare a meno. Ma se Damasco entrasse nella coalizione prima, non ci sarebbe il pericolo di fughe di notizie? I vertici dell’SDF sono convinti che il loro ingresso nell’esercito siriano, con conseguente ristrutturazione e riorganizzazione dello stesso, potrebbe modificare profondamente la realtà. Lo dimostra il fatto che oggi chi coordina le operazioni tra Damasco e la coalizione non è il Ministero della Difesa, ma quello dell’Interno. Questa semplice constatazione legittima le voci che vogliono l’attuale titolare del dicastero della Difesa su una linea più filo-jihadista rispetto a chi guida il governo, cioè il Presidente, il Ministro dell’Interno e quello degli Esteri. Anche al-Sharaa deve fare i conti con “le correnti”.  

Una base di accordo di tra curdi e governo siriano c’è, i leader dei due campi la hanno già definita per la parte militare: i combattenti curdi entrerebbero non come avrebbero voluto, come corpo unico, ma neanche alla spicciolata, come avrebbe voluto Damasco, ma in tre brigate e alcuni battaglioni, compreso quello femminile. Ma perché questo accada c’è da riformare la struttura dello Stato. Con quello attuale, gestito in termini di controllo centralista e religioso sull’operato dei vari funzionari pubblici, è molto difficile che i curdi possano procedere, infatti hanno chiesto riforme costituzionali, che al-Sharaa aveva già promesso ma ancora non ha effettuato. 

Tornando all’aspetto militare, inscindibile però dalla forma dello Stato, i curdi hanno accettato che la lotta all’Isis da loro prerogativa, che ha solidificato il loro rapporto con gli americani, diventi una “priorità nazionale” e che si costituisca un comando congiunto a questo fine. Ecco che gli americani, che sanno di poter contare sui curdi  per l’operatività, puntano ad accelerare il processo negoziale tra Damasco e curdi, raggiungere un’intesa complessiva e determinare le condizioni per trasformare il Ministero della Difesa e poter portare la Siria intera nella coalizione. Ma al-Sharaa è pronto? E soprattutto, se vuole comprensibilmente ridurre le spinte autonomiste dei curdi, e non solo, saprebbe offrire loro un federalismo coinvolgente, pluralista?  

Gli americani potrebbero accettare anche un prolungarsi della situazione attuale, ma il rischio è che la sfiducia tra le parti cresca a tutto vantaggio degli ambienti estremisti che non vogliono l’intesa e che lavorano per un collasso dell’avvicinamento tra Siria e coalizione. Questo giocherebbe chiaramente a favore della rinascita dell’Isis, che si avvantaggerebbe da un controllo frammentato del territorio, tra incomprensioni che sarebbero crescenti. 

Per questo la questione delle sanzioni ha rilievo anche per gli assetti militari, ma soprattutto è la forma dello Stato che va definita, per tutti. Senza risolvere i problemi politici (federalismo  e partecipazione innanzitutto) è molto difficile che risolvano davvero anche gli altri.   

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