Un raid aereo israeliano ha colpito nella notte il campo profughi palestinese di Ein el-Hilweh, alla periferia di Sidone, nel sud del Libano, causando almeno tredici morti e diversi feriti. L’attacco è avvenuto nel parcheggio di una moschea, dove un veicolo è stato centrato da un drone, e rappresenta la violazione più grave del cessate il fuoco in vigore dal novembre scorso.
L’area colpita si trova nel cuore di un campo che ospita decine di migliaia di persone, tra abitazioni sovraffollate, spazi comunitari e uffici delle fazioni palestinesi. Secondo le testimonianze raccolte all’alba tra chi lasciava il campo per andare al lavoro, un campo sportivo frequentato dai giovani sarebbe stato colpito in pieno.
Hamas ha confermato questa versione, negando decisamente che l’area fosse un “compound di addestramento” come sostiene l’esercito israeliano. Il movimento palestinese parla di una “fabbricazione” volta a giustificare l’ennesimo attacco contro civili, in un momento in cui l’accesso al campo è precluso anche agli operatori e agli osservatori: le autorità libanesi non hanno ancora concesso il permesso di entrare.
L’attacco si inserisce in una serie di operazioni israeliane condotte in territorio libanese malgrado la tregua, incluse le aggressioni contro i caschi blu dell’Onu e l’uccisione nei giorni scorsi di un dirigente scolastico nell’area di Tiro. Oggi molte scuole di Sidone sono rimaste chiuse per timore di nuovi bombardamenti e un ulteriore attacco mirato ha colpito, poche ore fa, un villaggio nel sud del Paese.
La dinamica degli eventi conferma un’escalation che rischia di trascinare la regione in una spirale fuori controllo. Israele rivendica quasi ogni incursione come un’azione “mirata” contro membri di Hamas, ma la realtà sul terreno mostra un quadro diverso: le vittime sono perlopiù civili, colpiti in spazi pubblici, nei pressi di scuole, moschee e abitazioni.
Le autorità palestinesi e libanesi parlano apertamente di violazioni sistematiche del diritto internazionale e accusano Tel Aviv di agire con totale impunità. La popolazione locale vede in questo raid non un episodio isolato, ma l’ennesima conferma che il cessate il fuoco è ormai svuotato di ogni significato e che le promesse di de-escalation restano lettera morta.
In Libano cresce la paura di un allargamento del fronte, mentre i sopravvissuti di Ein el-Hilweh raccolgono i corpi delle vittime e si preparano a un’altra giornata di lutto, consapevoli che l’assenza di conseguenze internazionali lascia la loro comunità esposta a nuovi attacchi.