Il marchese di Condorcet era amico delle donne

Dall'inizio della Rivoluzione francese, Jean-Antoine-Nicolas de Caritat si dedicò interamente alla questione dei diritti femminili.

Il marchese di Condorcet era amico delle donne
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14 Marzo 2012 - 17.49


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di Patrizia Briguglio

La cronaca propone ogni giorno episodi di violenza maschile contro le donne. I dati sono sconcertanti e rivelano un fenomeno in aumento: +34,42% dei reati sessuali e +16% di atti persecutori nel 2011, secondo i dati diffusi nei giorni scorsi dal procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma, Maria Monteleone. Nel leggere i giornali, si è sopraffatti dal numero di “uomini che odiano le donne”. Ma se questo è purtroppo vero in molti casi, non è vero in assoluto. Finite le tante iniziative per la festa della Donna, è tempo di iniziare a riflettere anche sui tanti uomini amici delle donne. Amici pubblici e privati, che capiscono il punto di vista femminile, rispettano le donne e ne condividono l’impegno. A questi amici è dedicato il ricordo di Jean Antoine Caritat de Condorcet, ultimo grande esponente dell’illuminismo francese, e simbolo dell’impegno maschile in favore dei diritti delle donne.

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Il grande merito di Condorcet, alla vigilia della Rivoluzione Francese, è di avere affrontato il problema femminile non più da filosofo, ma da giurista e uomo politico, ponendo la questione dei diritti politici delle donne.
Contrariamente a Jean Jacques Rousseau, che può essere considerato il capo di una scuola di antifemminismo, Condorcet diventa il campione di un femminismo integrale quanto al suo principio. Nell’Emile, opera dedicata all’educazione della sua compagna ideale, Rousseau scrive frasi che non lasciano adito a dubbi sulla sua visione circa il ruolo assegnato alle donne nella società dall’ordine naturale: “La donna è fatta specialmente per piacere all’uomo.”; “Tutta l’educazione delle donne deve essere relativa agli uomini.”; “E’ nell’ordine della natura che la donna obbedisca all’uomo.”. In esatta antitesi, pure in nome del diritto naturale, Condorcet esprime un’altra concezione della donna, destinata ad avere una grande influenza sulla storia del movimento femminista, sia all’epoca rivoluzionaria, sia in seguito, soprattutto nel XIX secolo.

La prima espressione di questa visione si trova nelle “Lettere di un borghese di New Haven a un cittadino della Virginia” (1787). Considerando che gli uomini hanno dei diritti in quanto esseri sensibili, ragionevoli, capaci di idee morali, Condorcet afferma che le donne dovrebbero avere esattamente gli stessi diritti. Ma dappertutto gli uomini “hanno fatto contro di esse leggi oppressive o hanno comunque stabilito fra i due sessi una grande disuguaglianza”. E’ per questo che le donne dovrebbero rifiutarsi di pagare le imposte “poiché si è legittimamente assoggettati soltanto alle tasse che si sono votate”.

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In un’epoca in cui le donne non hanno rappresentanza politica, egli sostiene che dovrebbero essere elettrici, ed eleggibili, secondo gli stessi criteri riservati agli uomini ed avere diritto di accesso ad ogni posto. Questi stessi temi sono ripresi nel 1788 nel “Saggio sulla Costituzione e la funzione delle assemblee provinciali”. Maggiore attenzione è qui dedicata all’istruzione, in merito alla quale dichiara la necessità che sia uguale per i due sessi.
Il tema pedagogico viene affrontato con più ampiezza nelle “Cinque memorie sull’Istruzione pubblica, pubblicate nel 1790 nella rivista “Bibliothèque de l’Homme public”. E’ questa la base di un progetto di decreto che Condorcet difende all’Assemblea nell’aprile del 1792, quando diventa membro del Comitato d’Istruzione pubblica dell’Assemblea Legislativa.

Dopo l’inizio della Rivoluzione francese, Condorcet dedica interamente alla questione dei diritti femminili l’articolo “L’ammissione delle donne al diritto di cittadinanza”, apparso il 3 luglio 1790 nel “Journal de la société de 1789”. L’attacco dell’articolo è una denuncia delle abitudini e dei pregiudizi: “L’abitudine può fare familiarizzare gli uomini con la violazione dei loro diritti naturali, al punto che, fra coloro che li hanno perduti, nessuno pensa a reclamarli, né crede di avere subito un’ingiustizia”. Ancora una volta vi afferma che le donne godono degli stessi diritti naturali che gli uomini e che viene commessa un’ingiustizia quando ne vengono private.

A chi solleva obiezioni in nome della costituzione fisica delle donne, ribatte: “Perché degli esseri esposti a delle gravidanze e a delle indisposizioni passeggere non potrebbero esercitare dei diritti di cui non si è mai pensato di privare le persone che hanno la gotta tutti gli inverni e che si raffreddano facilmente?”. Ugualmente, non esita a confutare la pretesa superiorità spirituale degli uomini. A coloro che sostengono che le donne non hanno gli stessi interessi degli uomini oppone che è per difetto delle leggi che gli interessi dei due sessi non sono uguali: “Non è la natura, è l’educazione, è l’esistenza sociale che causa questa differenza. E’ dunque ingiusto allegare, per continuare a rifiutare alle donne il godimento dei loro diritti naturali, dei motivi che non hanno una sorta di realtà che perché esse non godono di questi diritti”.

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