Ho 68 anni. C’è chi dice che me li porto bene, che ne dimostro di meno. Ma gli anni ci sono tutti, e quando il Coronavirus forse non ci sarà più, alla fine dell’estate, ne compirò 69. Non ho nessuna patologia ma fumo molto, da quando ero appena un ragazzino. So di aver appena passato l’ultima curva e di aver imboccato la retta di arrivo della mia esistenza. Non so a quale velocità la percorrerò, non so dove o come inciamperò, ma il traguardo è laggiù, posso già cominciare a vederlo.
Non voglio vivere fino a chissà quando. Non voglio diventare uno zombie. Ricordo ancora con raccapriccio le affermazioni di Berlusconi che diffondeva l’idea di poter arrivare a 120 anni. Ma ho ascoltato con altrettanto raccapriccio ieri sera il nazi economista Edward Luttwak dire in televisione che l’America non avrà mai i problemi della Lombardia perché l’eccezionale sistema sanitario della Lombardia ha tenuto in vita tanta gente povera che negli Stati Uniti sarebbe già morta da un pezzo. “Da noi se non sei milionario, muori”, ha chiosato allegramente Luttwak. E nello studio televisivo, anziché rispondergli, tutti sono passati oltre facendo gli scongiuri.
L’orrendo cinismo di Luttwak ci ricorda tuttavia che si nasce, si vive e si muore. Poveri e ricchi. Un concetto molto semplice, che una certa parte dell’umanità, soprattutto in Europa, sembra aver dimenticato da tempo. È da assai prima che scoppiasse l’epidemia del Coronavirus che vediamo file nelle farmacie più lunghe delle file dei supermercati. Anche la pubblicità in TV, in questi giorni, reclamizza più farmaci che altro. Abbiamo da tempo la netta sensazione che la gente si imbottisca di farmaci e finisca col pensare di non morire mai.
È giusto e straordinariamente generoso ciò che si sta facendo in Italia per proteggere gli anziani. Ma ai giovani sembra non pensarci nessuno, se non per additarli come possibili e scriteriati untori.
Vorrei chiedere ai baby boomers della mia generazione, che sono tanti e poi tanti, come si sentirebbero a trovarsi reclusi in casa e a dover studiare online, ammesso che ci si riesca, senza poter avere un rapporto vero, diretto, fisico con i professori e con i compagni.
Non possiamo avere neppure la più pallida idea di cosa si provi, cari coetanei.
Invece di imbottire tutti i giorni i nostri giovani di retorica a buon mercato, cerchiamo di stare chiusi in casa noi vecchi per poter al più presto far uscire di casa loro. Non continuiamo a rubargli il futuro.
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