Una bella storia da Rebibbia: inaugurata nel carcere una casa-rifugio per le detenute e le loro famiglie
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Una bella storia da Rebibbia: inaugurata nel carcere una casa-rifugio per le detenute e le loro famiglie

La piccola struttura è stata realizzata per offrire uno spazio alle donne e alle loro famiglie e farle "riscoprire" la maternità.

La casa della maternità di Rebibbia
La casa della maternità di Rebibbia
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20 Ottobre 2021 - 09.31


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Il carcere di Rebibbia ora ha un luogo dedicate alle donne e alle loro famiglie.
Tutta dipinta di rosso, piccolina e con il tetto a punta, proprio come l’avrebbe disegnata un bambino. È la casa-rifugio inaugurata il 19 ottobre nella sezione femminile del carcere di Rebibbia a Roma, da Renzo Piano. Si chiama “Ma.ma, Casa per l’affettività e la maternità” ed è una struttura pensata per offrire alle detenute uno spazio in cui trascorrere del tempo con le proprie famiglie e ricominciare a pensare al futuro.
“Modesta nelle dimensioni, grandiosa nelle ambizioni”, l’ha definita il noto architetto rivolgendosi alla piccola platea raccolta per l’inaugurazione, dove, in prima fila, erano presenti la rettrice dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Antonella Polimeni, il preside della Facoltà di Architettura Orazio Carpenzano e la direttrice del carcere Alessia Rampazzi.
Con i suoi 28 metri quadrati, questa casetta, circondata dal verde di un boschetto che la rende ancora più accogliente, rappresenta uno dei “rammendi” pensati per le periferie del Paese: “Una scintilla in un tema complesso come quello delle carcere, ma – ha sottolineato l’architetto senatore – le scintille contano”. Il progetto nasce infatti dall’idea secondo cui “il carcere non deve essere punizione e vendetta, piuttosto un luogo in cui si cambia”.
Nel carcere femminile di Rebibbia, dove le detenute attualmente sono 320 (le donne sono il 4 per cento della popolazione carceraria, gli istituti femminili solo cinque in tutto il Paese), la casetta rossa, con i suoi interni completamente di legno, il giardino di magnolie e melograni e i cespugli di ribes pensati per le merende dei bambini, si presenta come un luogo da dove ricominciare.
I lavori per la costruzione della casa, realizzata in collaborazione con l’Università e la Facoltà di Architettura, erano conclusi già nel 2019. Poi lo stop imposto dal lockdown e ora finalmente l’apertura. Qui saranno ospitate a rotazione le detenute, spiega la direttrice, “alle quali verrà offerta qualche ora di normalità” con le rispettive famiglie.
“Uno spazio per vivere i sentimenti”, suggerisce Renzo Piano, che ha realizzato il progetto insieme ai tre giovani architetti Tommaso Marenaci, Attilio Mazzetto e Martina Passeri, borsisti del suo progetto del G124, coordinati dalla professoressa Pisana Posocco.
D’altronde, il carcere è per l’architetto argomento di forte interesse: “non ne ho mai costruito uno ma il tema mi ha sempre attratto come quello della sanità e della scuola: sono i luoghi della civiltà, quelli dove i riti civili trovano spazio”.

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