La Rai in caduta libera è una questione nazionale
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La Rai in caduta libera è una questione nazionale

Il vistoso calo degli ascolti dimostra che il fallimento vero consiste da tempo nella scarsa qualità della programmazione complessiva Tg compresi.

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Nuccio Fava Modifica articolo

12 Gennaio 2020 - 17.17


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E’ imprescindibile anche se non del tutto condivisibile occuparsi quasi sempre di viale Mazzini per il calo vistoso degli ascolti dei vari Tg.
Il loro calo resta un indice importante del malessere ma non la questione principale da cui prendere le mosse. Il fallimento vero consiste da tempo nella scarsa qualità della programmazione complessiva Tg compresi. In sostanza non è la Tosca alla Scala o il successo di Fiorello genio unico a segnalare la bontà del servizio pubblico. È invece la governance complessiva a risultare frutto di patteggiamenti e di scambi tra i partiti di maggioranza e di opposizione che sono comunque una vera e propria lottizzazione inevitabilmente estranea ad una qualificata e rispettosa natura che dovrebbe essere sempre garantita al servizio pubblico.
Dovrebbe così essere chiara anche la responsabilità di chi governa la Rai con garanzie effettive di autonomia ed indipendenza per tutti i responsabili di rete e di testata e tutta la catena di formazione e realizzazione del prodotto.
Al contrario il costringente controllo della politica e quindi dei partiti domina interamente la scena come e’finita troppo evidente nelle indiscrezioni e nelle varie ipotesi che circolano all’atto delle nomine e assegnazione degli incarichi.
L’esempio più clamoroso è la nomina dell’ultimo presidente prima bocciato e poi rimesso nell’incarico per il quale non era stato ritenuto idoneo per un accordo intervenuto tra Berlusconi e il leader leghista che è riusciti così alla fine a fare eleggere il suo candidato.
Solo un esempio ma clamorosamente pericoloso per dire quanto sia indispensabile cambiare profondamente musica, orchestra e suoi direttori.
Soprattutto puntando sulla qualità degli orchestrali che un tempo erano del calibro di Ruggero Orlando e di Arrigo Levi, di Demetrio Volcic e Vittorio Citterich, per non citare Nando Martellini e Bruno Pizzul, Enrico Ameri, Mario Giobbe e Paolo Valenti, bisteccone e  Guido Oddo. Nomi che potrebbero continuare ma che servono a rafforzare l’urgenza di un profondo, indispensabile cambiamento nel servizio pubblico per riprendere appieno la grande responsabilità civile, culturale e informativa che gli spetta.

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