Non c’è niente da fare. Gli odiatori seriali della Palestina e del suo popolo, unico al mondo a vivere sotto occupazione, sono in servizio effettivo permanente h24. Gli ultras d’Israele hanno un loro organ house al cospetto del quale il Jerusalem Post, non parliamo di Haaretz ma del giornale israeliano della destra moderata, sembra una fanzine palestinese. Stiamo parlando de Il Foglio. Un giornale interessante, ben diretto da Claudio Cerasa, stimolante, fino a quando non si tocca Israele.
Chi lo tocca muore, dialetticamente s’intende. È come se una entità superiore abbia insignito la creatura editoriale di Giuliano Ferrara di una missione superiore da compiere: salvare il popolo d’Israele.
Salvarlo non dai terroristi di Hamas, la forza dell’elefantino non arriva fino a lì, ma dalle perfide quinte colone italiane che hanno l’ardire di condannare la mattanza in atto a Gaza, di denunciare l’apartheid instaurato in Cisgiordania e, udite udite, pensano che Benjamin Netanyahu venga trattato per quello che la Corte penale internazionale dell’Aja l’ha definito: un criminale di guerra e contro l’umanità. Né più né meno come Vladimir Putin.
Chiunque denunci il genocidio nella Striscia è un filo-Hamas, chiunque osi di parlare di Gaza come un campo di sterminio (il segretario generale delle Nazioni Unite) è un provocatore perché “campo di sterminio” evoca Aushwitz e i lager nazisti.
Adesso nel mirino de Il Foglio c’è la manifestazione nazionale del 7 giugno a Roma, promossa dalle opposizioni, finalmente unite: PD, M5S, AVS.
La carta dell’antisemitismo non è stata ancora calata, ma c’è ancora tempo. Adesso è il momento di scatenare la “guerra delle bandiere”.
In sintesi: il foglio, minuscolo stavolta, pro-israeliano, sostiene che gli organizzatori del raduno dovrebbero vergognarsi se non dicono chiaramente che le bandiere d’Israele sono bene accette a San Giovanni. Se sono silenti, sono complici dei filo-Hamas.
Ora, la manifestazione del 7 giugno è per la Palestina. Contro il genocidio in atto a Gaza. Per chiedere al governo italiano di riconoscere lo Stato di Palestina, come si accinge a fare la Francia di Macron. In Piazza ci saranno tante bandiere palestinesi, oltre quelle della pace, non bandiere di Hamas.
In questo contesto, cosa c’entrano le bandiere d’Israele? Cosa dovrebbero simboleggiare? Una equidistanza tra vittime e carnefici? Nessuno tra i promotori dell’iniziativa mette in discussione l’esistenza dello Stato d’Israele né ha dichiarato guerra al popolo israeliano. Ma oggi, sbandierare quelle bandiere significa provocare. Sì, provocare. Perché questo è quello che gli ultras d’Israele stanno cercando: creare il caso. Dimostrare quello che hanno già in testa: a Roma si sono radunati i nemici degli Ebrei. Punto.
Dei bambini massacrati o amputati a Gaza non gliene frega nulla. Così dell’uso della fame come arma di guerra. Al massimo possono concedere, ma proprio se sono messi all’angolo, che Netanyahu stia esagerando. Ma mai metteranno in discussione che la guerra di annientamento in atto a Gaza, da tempo ormai non può essere legittimata come diritto di difesa d’Israele dall’attacco terroristico (che i promotori dell’iniziativa del 7 denunciano nella mozione alla Camera che è alla base della manifestazione hanno condannato con nettezza) di Hamas del 7 ottobre 2023.
Chi si mobilita oggi per Gaza, ha nel cuore una pace giusta, tra pari. Una pace fondata sul principio di “due popoli, due Stati”. Ma uno dei due Stati non esiste. Ed è lo Stato di Palestina. Esiste uno Stato che allarga unilateralmente i propri confini, nella Cisgiordania occupata, e che dichiara, con chi governa, l’intenzione di rioccupare la Striscia di Gaza e di volere un esodo forzato dei due milioni di gazawi. La soluzione finale.
Questo è il presente. Il 7 Giugno per due Stati in Palestina. Non per due bandiere.
Post-scriptum. Era il18 settembre del 1982e a Torino era in corso la festa dell’Unità. Il pezzo forte era un concerto diLuciano Berio –padre della musica dodecafonica italiana – messo al centro di una manifestazione per la pace. Si leggevano anche poesie di Sanguineti.A sera arrivò la notizia dell’attacco di milizie cristiane coperte dall’esercito israeliano alcampo profughi di Shatila e alquartiere di Sabra. Il campo era pieno di palestinesi in fuga, e anche lì con moltissimi bambini. Fu un mattatoio con centinaia di morti, forse più di mille.
Un giovane dirigente delPcidiTorino,appena trentenne, fece irruzione alla festa e chiese che il concerto fosse dedicato alla strage e alla protesta contro la violenza di Israele.Gli organizzatori si rifiutarono. Il giovane dirigente si scagliò contro un funzionario del partito e non risparmiò l’assessore alla cultura, Giorgio Balmas. Il giorno dopo fu da tutte le persone per bene stigmatizzato. Lui per protesta lasciò il partito. Tornò a Roma. Si chiamavaGiuliano Ferrara.
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