di Francesca Giraldi
La decisione del ministero della Pubblica istruzione di eliminare le classi non terminali dei corsi serali per attuare il dimensionamento degli organici a livello regionale e provinciale non risponde ad alcun progetto politico, non chiama in causa alcun complotto volto a favorire il “privato” rispetto al pubblico ma esprime il vuoto politico di una classe governativa che ha trasformato gli apparati dello Stato in ufficiali giudiziari e si comporta di conseguenza generando azioni che hanno la sola finalità di battere cassa per fare quadrare conti pubblici che ormai, come sappiamo tutti, non quadreranno mai.
Le azioni, però, producono conseguenze spesso devastanti, per quanto non sempre così visibili e percepibili da chi non le subisce direttamente.
I corsi serali per lavoratori soppressi dal Ministero non sono, per ora, i Ctp, i centri territoriali permanenti per l’educazione degli adulti che consentono di conseguire il titolo di licenza media, bensì normali corsi di istruzione superiori con una riduzione oraria curricolare del 20% circa del monte orario, che vengono attivati in orari diversi rispetto a quelli diurni per favorire la frequenza di quegli adulti che, per motivi economici, familiari o personali, non hanno potuto nella loro adolescenza accedere all’istruzione superiore.
Sono loro a subire la conseguenza più pesante dell’azione del Ministero perché questa si traduce nella perdita di un diritto essenziale, riconosciuto dalla Costituzione: il diritto all’istruzione. Perdere il diritto all’istruzione non significa solo negare la possibilità di un titolo di studio superiore – oggi paragonabile alla terza media di un tempo – a una categoria di studenti già particolarmente svantaggiata, ma significa soprattutto erodere il capitale umano e sociale di una società dove il problema principale non è più tutelare o accrescere la libertà delle persone, ma evitare che questa libertà venga progressivamente diminuita dalle azioni di una pseudo-politica economica che intacca l’accesso alle risorse per un numero crescente di individui.
La seconda conseguenza riguarda la perdita dei posti di lavoro. Se i docenti di ruolo non perderanno il posto ossia la retribuzione, ma saranno disseminati qua e là in due o più scuole, magari in provincia, i precari invece usciranno sicuramente dal mondo lavorativo della scuola.
Ma le conseguenze in termini lavorativi investono anche un’altra categoria : quella del personale Ata – assistenti tecnico- amministrativi. Perché 120 alunni in meno significa ridimensionamento dell’organico Ata calcolato in base al numero di alunni frequentanti. E infine intaccano le risorse economiche del singolo Istituto, perché il Fondo per la retribuzione accessoria che ogni scuola ha in dotazione per pagare le attività aggiuntive – dai corsi di recupero agli straordinari del personale Ata – è calcolato anch’esso in base al numero di alunni.
Se le azioni producono conseguenze sugli individui è ora che gli individui riprendano a mettere in atto azioni capaci di contrastare le conseguenze di questa devastante pseudo-politica.
