di Emiliano Deiana
Per il titolo di questa nota mi faccio i complimenti da solo. E lo dico fin da subito: sono contro la realizzazione della Tav. Di questa Tav.
Zitti, zitti che già vi sento: ma Fassino e il Pd sono favorevoli! Lo so e me ne dispiaccio, ma io non ho mandato il cervello all’ammasso e rivendico il diritto, in un quadro di valori condiviso, di avere un’opinione diversa. In questo caso antitetica.
Avrei preferito vedere 2000 poliziotti schierati a difesa dell’azione di Luigi De Magistris a Napoli, per dire. Ma così non è.
Avrei preferito vedere 2000 poliziotti in una retata contro la ‘Ndrangheta a Monza.
Avrei preferito vedere le migliaia di miliardi che si spenderanno per la Torino-Lione utilizzati per l’ammodernamento della rete ferroviaria nazionale ancora legata all’epoca fascista. Avrei preferito vedere il collegamento da Sassari a Cagliari in un’ora, un’ora e mezzo invece delle terzomondiste quattro ore.
Avrei preferito aver diritto da sardo ad una continuità territoriale, da e per la penisola, che non mi rapini il portafoglio e l’anima. Ma non saranno questi i miei argomenti.
Il mio argomento è uno e semplice: che Stato è uno Stato forte con i deboli e debole con i forti? Che Stato abbiamo creato in mezzo secolo di democrazia?
Quali forme di partecipazione abbiamo escogitato per coinvolgere le popolazioni locali nella realizzazione di Opere d’importanza strategica?
Abbiamo creato uno Stato che si presenta con la divisa antisommossa.
Abbiamo creato uno Stato che ha la faccia del Deputato di turno che si fa vedere per paesi e montagne una volta ogni cinque anni. Per chiedere il voto e promettere posti di lavoro e illusioni.
Stamattina mentre mi preparavo ad andare in ufficio pensavo al mio paese. Ottocento anime. Al fondo di una valle. Simile, se vogliamo, alla Val di Susa.
Ed ho pensato se un giorno, di fianco al mio paese (che è qui da millenni) sbucasse una galleria. Una galleria che collega il niente con il nulla. Come reagirei, da cittadino? Come reagirei, da amministratore pubblico?
Perché, siamo seri, quale cittadino della Val di Susa andrà mai a Kiev, utilizzando la Tav?
Senza entrare nella poesia, senza entrare nel sentimentalismo, ma credo che le voci dei miei antenati mi richiamerebbero a un sussulto di dignità. E mi opporrei.
Mi opporrei con la forza del ragionamento, ricercando il dialogo e rappresentando le perplessità. E se le mie ragioni non venissero ascoltate chiamerei a raccolta la popolazione e attiverei forme di protesta e di resistenza non violenta.
I ragionamenti che si contrappongono al mio evocano il “Sistema-Paese”, la “modernità”, l’efficienza, lo stare in Europa. Il Sistema paese ha bisogno di un popolo che ragioni, nella modernità si sta attivando reti incorporee, l’efficienza la si raggiunge spendendo per le cose veramente utili le poche risorse a disposizione, in Europa si sta da protagonisti, non proni ai voleri dei tecnoburocrati.
Per questo e per l’assoluta insofferenza verso le prepotenze di un Potere al collasso mi schiero dalla parte dei più deboli. I più deboli che sono gli abitanti della Val di Susa, quelli che sentono sulla propria pelle l’incombere di un’Opera di cui non comprendono la finalità e l’utilità.
Mi schiero dalla parte dei più deboli anche contro l’orientamento prevalente fra i dirigenti del mio Partito, non solo perché mi prendo il lusso di dissentire, ma perché penso che la funzione ultima di un Partito che si chiama Democratico sia quella di dare voce ai cittadini. A tutti i cittadini.
E i cittadini italiani non chiedono di andare più velocemente a Kiev, ma di andare più velocemente fra Genova e Milano, fra Taranto e Bari, fra Cagliari e Sassari. E una porzione di cittadini italiani che vive quelle valli non chiede di raggiungere in poche ore l’Ucraina, ma di veder rispettato il diritto a continuare a vivere dove hanno sempre vissuto.
Non soffro della Sindrome Nimby (Not In My Back Yard), ma avrei un fottuto bisogno di Nembo Kid che mi aiuti a trovare la forza per vincere questa battaglia di civiltà e di buon senso. Perché, come diceva Antonio Gramsci, “noi sentiamo il mondo, prima lo pensavamo solamente”. E chi protesta “sente il mondo” e sa benissimo che non esisterà mai nessuna Grande Opera senza il consenso delle popolazioni locali, ma solo operette cantate da politici di infima categoria.