di Roberto Mapelli
Alberto Lucarelli è assessore ai Beni Comuni della giunta De Magistris. Il quarantenne docente di Diritto Pubblico all’Università Federico II, uno dei primi promotori della legge di iniziativa popolare e del referendum contro la privatizzazione dell’acqua, dovrà gestire tutti i beni di natura pubblica e toglierli dalle mani dei cda delle aziende municipalizzate. È inoltre alla Democrazia diretta: Lucarelli avrà il compito di mantenere il contatto con i comitati e i cittadini, in modo da creare momenti di aggregazione e partecipazione alla vita dell’amministrazione. Attraverso referendum di indirizzo e agorà pubbliche, i cittadini potranno dire la propria opinione su quello che bisogna fare a Napoli.
Perché un assessorato ai Beni comuni?
Questo assessorato segna una svolta straordinaria in tema di beni di appartenenza collettiva e in qualche modo rappresenta una sintesi dei processi politici, culturali ed economico-sociali che hanno visto l’Italia in prima linea nel panorama europeo degli ultimi 10 anni, dove, a partire da Genova 2001, si è sviluppato un dibattito molto intenso intorno alla nozione di bene comune cercando di andare oltre la dicotomia di pubblico/privato. E a Napoli il sindaco De Magistris ha raccolto e ha saputo interpretare questa nuova impostazione, centrando il suo programma di governo proprio sui beni comuni (definendo lo stesso programma un bene comune…) e sulla democrazia partecipativa ad essi collegata.
Dopo il risultato del referendum sulle forme di gestione dei servizi pubblici locali, da tutti i territori arriva la stessa domanda: ora, che fare?
Come primo atto dal mio insediamento, anche come valore simbolico, fatto il giovedì subito dopo il referendum, ho approntato una delibera che trasforma in soggetto di diritto pubblico l’Arin Spa, l’azienda ex-municipalizzata della gestione delle risorse idriche di Napoli; soggetto pensato e organizzato intorno al concetto di democrazia partecipata anche sul modello pratico del soggetto pubblico che dal primo gennaio 2010 gestisce l’acqua di Parigi (dopo la ripubblicizzazione), e quindi molto lontano dal passato e dai carrozzoni statalistici costruiti e funzionanti sulla clientela partitica. Vogliamo affermare la bontà e la forza (anche d’esempio) di un governo pubblico partecipato.
E dal punto di vista più strettamente economico e tariffario, come comportarsi? E come recuperare le risorse?
Intanto il referendum, giustamente, ha messo fine alla logica del profitto nel servizio pubblico (quella vergognosa rendita del 7% assicurata per legge e di fatto sulle spalle dei cittadini) e obbliga i futuri gestori, che io spero siano tutti soggetti di diritto pubblico, a predisporre la loro attività di impresa sul fulcro principale della loro missione, concentrando investimenti ed eventuali utili, sul miglioramento del servizio e al servizio del cittadino (anche in relazione alle tariffe che devono essere eque). Cosa che non avviene oggi con le Spa, ancorché pubbliche, e me ne sono accorto subito da assessore, impegnate come sono a massimizzare i profitti diversificando gli impegni e orientandosi sui più profittevoli, passando spesso dall’acqua ai lavori pubblici o quant’altro, mettendo in assoluto secondo piano ciò che invece dovrebbe essere il loro esclusivo compito e portando a situazioni inaccettabili dove è spesso la Spa, con la leva finanziaria, che controlla di fatto il comune piuttosto che il contrario come dovrebbe essere e anche concretamente non rispettando le norme di controllo del diritto comunitario che pur sono previste.
Per quanto riguarda le risorse, sia locali che nazionali, intanto partirei da quel progetto di legge di iniziativa popolare proposto dal Forum dei movimenti dell’acqua, che prevede il ricorso maggiore alla fiscalità pubblica generale, e poi, sempre il Forum, sta portando avanti ormai da anni un lavoro di approfondimento e di consultazione per approntare diversi canali di finanziamento e a cui noi vorremmo riferirci. Infatti quella stessa prima delibera che raccontavo prevede, oltre alla ripubblicizzazione, l’istituzione di un panel di consultazione e elaborazione per costruire un nuovo modello di finanziamento e Napoli si candida di fatto ad essere in tal senso un laboratorio di sperimentazione.
Veniamo a Napoli: come pensate di muovervi anche in relazione alle vicende drammatiche intorno al tema dei rifiuti?
Ora a Napoli abbiamo questa situazione di emergenza, che noi ereditiamo, e che stiamo affrontando e cercando di risolvere, nonostante le spinte antisolidaristiche e boicottatrici della Lega Nord. E’ pronto un piano generale di intervento basato sulla raccolta differenziata per riportare la questione dei rifiuti nell’alveo della normalità e del diritto comunitario e per sottrarla finalmente al mondo degli “affari”, che ha impedito che partisse il ciclo integrato dei rifiuti e dove ovviamente la collusione con la camorra è preponderante.
Detto questo, noi confidiamo sul clima straordinario che si respira a Napoli, che è stata protagonista, fin dal 2003, del grande movimento civico contro la privatizzazione dell’acqua e sulla questione dei rifiuti. Un movimento molto maturo in grado di proporre soluzioni, oltre che di organizzare la protesta, ed è spesso nei momenti bui della democrazia che si può toccare con mano il grande valore umano e politico della mobilitazione popolare e dell’autorganizzazione. La cittadinanza cresce di livello e c’è un grado di partecipazione in questo momento molto elevato. L’istituzione del mio assessorato è anche una risposta concreta alla sfida che viene da questa partecipazione ed è anche una sfida contro la borghesia mafiosa di questa città (non solo alla camorra come è comunemente intesa) che è collusa con il malfunzionamento dell’amministrazione e con il crimine organizzato. Una sfida molto forte che, prima che tecnico-giuridica-economica, ha una dimensione principale di tipo etico-partecipativa di estremo valore, in grado di cambiare radicalmente le cose.
Infine. Che cosa racconta e può insegnare l’esperienza napoletana alla sinistra politica in crisi?
Intanto insegna che non è più immaginabile una democrazia della rappresentanza senza una democrazia della partecipazione. E che quest’ultima, espressa da veri e propri soggetti politici di movimento esterni alle istituzioni, ma non per questo classificabili stupidamente come antipolitica, è oggi la strada principale per una rifondazione vera della rappresentanza sociale e politica e in tal senso anche l’elemento principale di una riforma auspicabile dei partiti e della politica. Dentro questa condizione di partecipazione e di riconoscimento dei comitati e dei movimenti come veri e propri, ripeto, soggetti politici a tutti gli effetti, e non dentro i palazzi, si giocano le vere possibilità di riscatto e rinnovata efficacia di una nuova sinistra per questo paese.