di Massimo Faggioli
Senza casa. Il cattolicesimo italiano rischia di diventare culturalmente e politicamente homeless nell’Italia del secolo XXI. Se i cattolici italiani hanno dissipato, nel corso dell’ultimo ventennio, la capacità di riconoscersi in un’identità politica e culturale, lo si deve anche a un magistero cattolico che, sulla cosa pubblica, è andato sempre più contraendosi e diluendosi nel corso nell’epoca post-conciliare. Ma oggi sta anche al Partito Democratico evitare che il cattolicesimo italiano sia tentato di prendere la scorciatoia della “dittatura del volontariato”.
Il disincanto. In questo senso l’appuntamento di Todi del 17 ottobre è a suo modo indicativo, se si guarda agli “interventi programmatici” di Ernesto Galli Della Loggia e Ferruccio De Bortoli previsti nella terza parte della giornata. La tradizione del cattolicesimo in politica è altro e di più. Il nuovo volontariato cattolico nasceva da un bisogno di vivere la chiesa in modo nuovo, ma anche da un cambiamento di visione della politica all’interno della chiesa romana e da un disincantamento rispetto al mondo politico.
L’epoca dei movimenti. Tra i pontificati di Paolo VI e Giovanni Paolo II la nuova ondata di “movimenti cattolici” ha offerto una risposta esperienziale alla caduta di fiducia nella politica grazie alla soluzione “sociale” del volontariato. Coi nuovi movimenti cattolici si ha, negli ultimi trent’anni, il superamento di quel cattolicesimo politico frutto di una elite politica e sociale cattolica post-notabilato, un tempo selezionata da organismi di natura assembleare o partecipativa sotto l’occhio vigile dei vescovi: ora il movimentismo cattolico è frutto di un meccanismo di selezione e rappresentanza in gran parte nuovo rispetto a quello di epoca democristiana.
Referenti papali. Meno dipendente di una volta dai vescovi e dalla chiesa territoriale, e più legato ad agende particolari e carismi eccezionali, il movimentismo cattolico contemporaneo è parte della soluzione, ma anche parte del problema della chiesa italiana. Oggi i vescovi, il clero e il laicato cattolico “sfuso” sono i veri sconfitti nella chiesa post-conciliare, di fronte alla “primavera dei movimenti cattolici” di stretta obbedienza papale. La frequenza dei messaggi episcopali sulla politica è un riflesso di questa condizione dei vescovi come sconfitti del cattolicesimo post-wojtyliano, schiacciati come sono tra una chiesa sempre più papalista da un lato e dall’altro da un movimentismo cattolico più autoreferenziale ed emancipatosi dalla guida dei vescovi.
L’unica minoranza attiva. È vero, come ha rilevato il recente studio di Roberto Cartocci pubblicato da Il Mulino, che i movimenti cattolici sono rimasti l’unica minoranza attiva nel Paese capace di coniugare insieme solidi riferimenti ideali, dedizione e capacità di organizzarsi in autonomia. Ma questo braccio del cattolicesimo italiano è parte dell’analisi della crisi attuale, perché gran parte delle energie riversate nel volontariato cattolico provenivano e ancora provengono dal prosciugamento del serbatoio di servizio politico offerto dai cattolici italiani nel corso del dopoguerra. È lungo questa traiettoria che l’offerta politica del PD deve collocarsi per intercettare un bisogno di politica che può interpretare, a patto di non cadere nella tentazione di ridurre il cattolicesimo politico a traduzione simultanea del magistero recente.
Figli dei costituenti. In Italia, in una repubblica parlamentare che è figlia anche della chiesa italiana e dei cattolici italiani, è in corso una ridefinizione della presenza politica dei cattolici. Nel cattolicesimo italiano nessuno ha il bastone di comando: né la chiesa dei movimenti vecchi e nuovi, né la Cei del card. Bagnasco, né tantomeno la Curia romana di Benedetto XVI e del cardinal Bertone. Ecco perché rivolgersi ai movimenti cattolici o ai vescovi o al papa come gestori unici del bisogno di politica da parte dei cattolici italiani risulta politicamente perdente, oltre che storicamente miope. Il cattolicesimo politico italiano non si salverà facendo appello a questa o quella interpretazione particolare del magistero recente dei papi, e specialmente di Benedetto XVI, interprete di un agostiniano scetticismo verso il potere salvifico della politica.
La tradizione cattolica oltre il papato. Il Pd, e all’interno del partito quella componente che più volentieri si fa interprete ufficiosa del pensiero politico-costituzionale del papa, deve sfuggire alla tentazione di plasmare un partito legato ad un pontificato e ad una particolare idea di rapporti tra società e Stato. La politica dei cattolici non può risolversi in un’auto-esclusione dal compito di parlare a nome di una tradizione ben più lunga di un pontificato, e per conto di un elettorato ben più ampio di quello dei movimenti.