Quella che vi proponiamo è la lettera di una vedova, così come è arrivata nella mani del sindaco del paese. La ferita del lutto è ancora aperta, ma è lucida nel raccontare il “calvario” del suo Mimmo (il nome reale lo abbiamo volutamente omesso, ndr). Il marito glielo ha tolto la disperazione: Mimmo si é impiccato al balcone di casa dopo aver battuto tutte le strade e bussato inutilmente a tutte le porte per trovare un lavoro.
Moglie e tre figli adulti disoccupati, prima di farla finita aveva bussato anche alla porta del sindaco. Per questo la vedova gli ha voluto scrivere. Siamo a San Giuseppe Jato. Il paese si raggiunge con 40 minuti di auto da Palermo. Si sale alle pendici del monte Jato, la vista spazia sulla valle dello Jato. Vigne, soprattutto vigne. Terre difficili, ruvide, severe, che richiedono polso e sudore. Mimmo aveva provato in una segheria, e anche in campagna.
Febbraio qui è freddo e il vento oggi soffia forte.
Paese di mafia e di impegno contro la mafia. Il sindaco, Giuseppe Siviglia, ricorda Mimmo, ma ricorda anche un altro uomo che qualche tempo fa entrò nel suo ufficio con una tanica di benzina minacciando di darsi fuoco, disperato perché senza lavoro. Lui ogni giorno fa i conti con madri che bussano in municipio per un sussidio minimo per poter fare la spesa. E’ storia di tutti i giorni. Da queste parti, tornare a casa con cinque euro è già tanto.
E’ il sindaco a portarci dove fu tenuto prigioniero, torturato e sciolto nell’acido il piccolo Giuseppe Di Matteo. Da allora, qualcosa è cambiato: bambini che hanno la stessa età che aveva Santino, oggi alla recita scolastica fanno a gara per vestire i panni del carabiniere. In altri tempi avrebbero faticato a trovarne uno. Ora il vero cruccio é il lavoro che manca, la vita é un calvario, e non tutti ce la fanno a resistere. E se le cose non cambiano – dice il sindaco – la mafia è sempre pronta ad approfittarne, a riprendersi lo spazio perduto.