di Tancredi Omodei
Spesso, in questo nostro Paese bisogna ricordare anche cose lapalissiane. In ultimo, che i magistrati e gli investigatori non lavorano per alimentare le esigenze quotidiane dei media, ma per fare giustizia. Sostanzialmente, a questo principio elementare si è riferito il procuratore nazionale Antimafia, Pietro Grasso dopo quel che è avvenuto nei giorni seguenti l’attentato di Brindisi. “Non si possono fare le indagini con i giornalisti dentro le Questure… Sono stato a Brindisi e ho faticato a sfuggire alle domande dei giornalisti… Bisogna pensarci – è stata la riflessione di Grasso – le indagini chiedono serenità e segreto”. Era ora. Dopo quel che si è visto a Brindisi, era il caso di ricordare alcuni principi, mettere ordine negli impegni dei magistrati alle prese con un caso così delicato e non offrire, con qualche scomposta conferenza stampa, il destro a errori che si potrebbero pagare pesantemente.
Accanto alle parole di Grasso, che certamente non è stato felice del balletto di ipotesi e notizie che hanno riempito giornali, tg e gr, ci sono alcune importanti decisioni. Intanto, l’inchiesta sull’attentato sarà coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce. Alla DDA di Lecce sarà aggregato il Pm di Brindisi, Milto De Nozza. Cambia – come sappiamo – il reato ipotizzato: da strage si indaga ora per strage aggravata dalla finalità del terrorismo. “Finalità evidenti”, ha sottolineato, a questo proposito, Grasso che ha messo ordine a Brindisi. Lo stesso Grasso, a quel punto, ha potuto aggiungere che “non c’erano assolutamente frizioni tra la procura distrettuale Antimafia di Lecce e la Procura di Brindisi”. Solo “valutazioni probabilistiche – ha aggiunto Grasso – che non comportavano alcuna scelta investigativa”.
La verità offerta dalla cronaca è che, in effetti ieri il procuratore di Brindisi, Marco Dinapoli, in una conferenza stampa aveva parlato di “significativi passi in avanti” nell’indagine, riferendosi al video della telecamera di cui gli investigatori erano venuti in possesso. Mentre poco più tardi, il procuratore distrettuale di Lecce, Cataldo Motta, parlando con i giornalisti aveva dichiarato: “Tutte le ipotesi sono ancora possibili”, riferendo anche di non sapere neppure del’esistenza di un video. Quindi, al di là delle comprensibili parole di tranquillità di Grasso a spegnere ogni ipotesi di contrasto tra magistrati, le parole dell’uno e dell’altro magistrato sono la prova che era tempo di ordine, di prudenza e di qualche salutare e utile silenzio. Lo stesso ministro Severino ha avvertito dei rischi di indagini frettolose.
Del danno fatto dalla fretta e dalla voracità dei media ha parlato il procuratore distrettuale di Lecce, Motta. A chi lo intervistava, Motta non ha avuto difficoltà a dire: “E’colpa vostra”, e ad aggiungere di quanto sia stata dannosa la diffusione del famoso video dell’uomo ripreso dalle telecamere vicine al luogo dell’attentato. Abbiamo bisogno di lavorare in pace, ha detto Motta, non abbiamo bisogno che qualcuno ci dia una mano, tanto meno del presunto aiuto delle cosche locali, come pure, in questo caos mediatico, qualcuno ha azzardato.
Dunque, linea della serenità e del silenzio, come vuole Pietro Grasso, forte di una lunga e difficile esperienza che gli ha insegnato cosa egevola e cosa compromette indagini delicate e da affrontare senza tesi precostituite o piste privilegiate.
Nel frattempo, ha parlato il sospettato scagionato: “E’stato un incubo – ha detto – ora l’unica cosa che chiedo è di essere lasciato in pace. Sono un uomo onesto, e con c’entro niente con la bomba”. Parole, queste, del radiotecnico sospettato dell’attentato, ascoltato per molte ore dagli inquirenti, e poi, appunto, rilasciato. “Per fortuna, hanno capito che sono onesto. Sono stato sempre tranquillo”, ha aggiunto il 50enne radiotecnico. Quando gli investigatori hanno bussato alla sua porta, l’uomo non potendo lasciare la sua piccola da sola a casa, l’ha portata con sé in Questura, intrattenuta e distratta con garbo dal personale. Lo stesso radiotecnico dice di essere stato trattato bene dagli inquirenti che, comprensibilmente, a casa avevano fatto un po’ di trambusto durante la perquisizione tra pc e telecomandi, pane quotidiano del lavoro dell’uomo.
“Sabato mattina, il giorno dell’attentato – racconta ora che l’incubo è finito – ero a casa e stavo dormendo. Ho sentito l’esplosione e ho subito pensato a qualcosa di grave…sono a 300 metri dal luogo dell’attentato… Tre ore dopo sono uscito di casa per andare al negozio di eletronica”.
Ora vuole essere lasciato in pace, sicuro che la gente capirà. Proverà a dimenticare una giornata da incubo.
