La stanca liturgia dello scontro di piazza
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La stanca liturgia dello scontro di piazza

Gli incidenti al termine delle manifestazioni del 14 novembre ripropongono vecchi rituali e oscurano le ragioni di un movimento che ne ha da vendere.

La stanca liturgia dello scontro di piazza
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15 Novembre 2012 - 13.25


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di Claudio Tanari

Quanto accaduto al termine delle manifestazioni italiane del 14 novembre suscita un’ inequivocabile e ormai insostenibile impressione di deja vu.
Caschi, giovani coi volti coperti, pietre e bottiglie sulle “guardie”, vetrine infrante e assalti alle banche: il nostro eterno G8 di Genova, reso a Roma ancor più insopportabile dalle inqualificabili espressioni di antisemitismo all’indirizzo della comunità ebraica durante i fronteggiamenti nelle immediate circostanze del Ghetto. E, dall’altra parte, poliziotti che pestano manifestanti isolati, cariche violentissime di ritorsione, gestione ottusa della piazza.

Abbiamo già dato. Eppure si è riusciti a oscurare, [url”sul piano mediatico”]http://www.businesspeople.it/Le-prime-pagine/Le-prime-pagine-dei-quotidiani-giovedi-15-novembre-2012_40510/Corriere-della-Sera[/url], un’iniziativa storica: il primo sciopero transnazionale, che ha riempito le piazze europee di centinaia di migliaia di persone contro le politiche di rigore e di macelleria sociale degli esecutivi del Vecchio continente.

Coazione a ripetere, inevitabile quanto sterile rito di iniziazione, simulazione di una guerra civile fortunatamente non all’ordine del giorno? Certo, c’è tutto questo insieme a rabbia, frustrazione e disagio esistenziale.

Come non notare, però, il riflesso pavloviano delle giovani generazioni, figlie della caduta delle ideologie e della società liquida, contraddittoriamente oscillanti tra la virtualità della Rete e occasioni massificate di protagonismo in presenza?

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Una ricerca disperata di liturgia, di rassicurante omologazione, che ha portato solo pochi giorni fa trentamila giovani romani a Piazza del Popolo a ballare sulle note di “Gangnam Style”, l’hit del rapper coreano Psy. Chissà quanti dei partecipanti a quel [url”flash mob”]http://video.repubblica.it/edizione/roma/roma-in-30mila-per-il-flashmob-con-gangnam-style/110360/108744[/url] organizzato dal tamtam di Facebook si sono “calati il passamontagna” sul Lungotevere?
Ecco, di fronte ad una crisi che ha già mietuto più di duecento milioni di disoccupati nel nostro continente, ad una condizione giovanile senza prospettive e alle risposte recessive e draconiane degli establishment europei, appare irresponsabile, oltre che fondamentalmente stupido, giocare alla guerriglia urbana.

Dalle mobilitazioni nuove e creative degli insegnanti contro l’ennesimo tentativo di affossare la scuola di tutti, sono venuti in queste settimane esempi di forme di lotta originali ed efficaci dal punto di vista della comunicazione, capaci di chiarire all’opinione pubblica le ragioni di una protesta radicale e intelligente.

Ma modi di stare nelle strade al passo con la società dell’immagine globalizzata e della comunicazione web erano state recentemente sperimentati dal popolo di Occupy Wall Street e dall’occupazione pacifica di Piazza Tahrir. Questa è la strada che va seguita, per non ridurre movimenti di massa ricchi e compositi – espressione dei problemi giganteschi posti dalla crisi – in una mera, banale questione di ordine pubblico.

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