Non sappiamo neanche il suo nome. Abbiamo provato, scorrendo le agenzie, leggendo i giornali on line, ma del romeno morto nel crollo di Velletri non siamo riusciti a conoscere il nome. Un romeno, tanto basta. Segno particolare, 46 anni, nient’altro, se non che era stato assunto con altri tre connazionali per sostituire gli operai di una ditta regolare che era stata licenziata dall’irresponsabile arrestato per omicidio colposo e per non aver messo in atto le misure di sicurezza che si richiedono in un cantiere.
L’italiano irresponsabile arrestato aveva avviato le ristrutturazioni in un vecchio stabile, in centro storico, per realizzare un pub. Uno spazio interrato, in una palazzina di due piani. È crollato il solaio. Quando i vigili del fuoco hanno ritrovato il corpo senza vita dell’uomo, gli altri tre si erano allontanati, o erano stati allontanati.
Quel corpo senza vita, ingombrante, era rimasto, però, a testimoniare un crimine quotidiano e diffuso: il lavoro in nero, imposto sul bisogno e sulla fame. Non è la prima volta che accade che il corpo senza vita di un operaio in nero scoperchi le dimensioni di un fenomeno che anziché arrestarsi, cresce, e per la crisi. Le braccia hanno un costo sempre più basso, perché ce ne sono tante sul mercato, le più convenienti sono quelle di un altro colore o quelle che arrivano dagli angoli più sfortunati d’Europa.
I luoghi del mercato nero di braccia si conoscono, ci sono in tutte le piazze d’Italia, si conoscono quelli che li caricano in auto per portarli in cantiere. Ed è accaduto di operai in nero morti nei campi o in cantiere e trattati come fossero un vecchio frigo rotto o un materasso di cui disfarsi: gettati ai margini di una strada poco frequentata, o in un fosso.
È accaduto anche che nel crollo di una palazzina in costruzione, l’impresa rassicurasse i soccorritori che sotto le macerie non c’era nessuno. Fu così, qualche anno fa, a Licata. Solo la disperata ostinazione della moglie dell’operaio riuscì a non fermare le ricerche. L’operaio era vivo, per estrarlo dovettero amputargli le gambe. Morì in ospedale.
Ecco, questo Primo maggio italiano lo voglio dedicare al romeno di 46 anni senza nome morto a Velletri e a tutti quelli trattati come carogne fastidiose.