Il Pd aiuta le private e penalizza le pubbliche
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Il Pd aiuta le private e penalizza le pubbliche

Il caso di Bologna è indicativo: i cittadini si sono espressi con un referendum ma la lobby delle scuole paritarie vince sempre. [Marina Boscaino]

Il Pd aiuta le private e penalizza le pubbliche
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23 Luglio 2013 - 14.42


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di Marina Boscaino

Tutti ricorderanno che il 26 maggio a Bologna gli esiti di un referendum consultivo hanno chiarito che la maggior parte dei cittadini intendono destinare le risorse pubbliche esclusivamente alle scuole dell’infanzia pubbliche (statali e comunali) e non a quelle private. Senza se e senza ma, un giudizio ed un’opzione inequivocabili che, dopo un infaticabile lavoro di preparazione da parte del Comitato art. 33, hanno stabilito un principio e aperto una strada eventualmente percorribile anche altrove. Tutti i media, per la prima volta dopo anni, prestarono all’epoca un’attenzione straordinaria al referendum; perché uno dei tanti meriti del Comitato fu proprio riuscire a portare alla ribalta un tema, quello della scuola, completamente privo di appeal, non solo per il nostro sistema di informazione ma anche, ed è ancor peggio, per la politica.

Sta accadendo un fatto curioso, però. Il maggior partito di governo, quello al quale molti elettori hanno assegnato (evidentemente in modo del tutto incauto) il compito di mantenere in vita ciò che resta di una serie di principi e valori “di sinistra”, compresi quelli che regolano costituzionalmente il ruolo dell’istruzione nella nostra Repubblica e assegnano alla scuola pubblica la rappresentanza primaria dell’interesse generale e dell’inviolabile principio della laicità; quel partito che però, a livello nazionale, governa con il Pdl e a livello locale gestisce il Comune nel nome di una maggioranza di elettori, molti dei quali sono i 50.517 che hanno votato la priorità della scuola pubblica. Proprio quel partito sta minacciando di disattendere gli esiti del referendum: sebbene abbia prevalso l’opzione A, continua a sostenere la B, in modo che le scuole dell’infanzia private possano ancora usufruire di un milione di euro annui.

Infatti, nel giorno in cui il consiglio comunale è stato chiamato a pronunciarsi sull’esito del referendum, voto poi posticipato al prossimo 29 luglio, il capogruppo PD, Francesco Critelli, ha dichiarato: “La priorità è assicurare al maggior numero di bambini l’accesso alle scuole dell’infanzia. Modificare la convenzione, secondo noi, non porta a un aumento dell’offerta formativa, ma a un decremento complessivo. E le scelte dell’amministrazione non possono basarsi solo sull’enunciazione di principi”. La solita storia. Invece di allargare l’offerta di scuola pubblica per assicurare a tutti l’accesso, si ricorre (finanziandola) alla scuola privata, incuranti delle violazioni che ciò configura.

Si è conclusa alle 13 di lunedì scorso la veglia staffetta di 3 giorni per chiedere il rispetto dell’esito del referendum del 26 maggio. Le statue viventi che si sono alternate sul piedistallo posto davanti all’ingresso del Palazzo Comunale sono state più di 80; centinaia di bolognesi e cittadine/i italiani e stranieri hanno sostenuto l’iniziativa, confermando la grande volontà di partecipazione popolare a favore del diritto alla scuola pubblica e di tutti i diritti primari che si è manifestata durante la campagna referendaria.

In seguito all’esito della seduta del consiglio comunale, sono stati presentati 2 ordini del giorno. Il primo, quello a firma Critelli e Caviano: “Si esprime per il mantenimento dell’attuale sistema pubblico integrato, compresa l’erogazione delle attuali risorse finanziarie comunali destinate al supporto delle scuole paritarie convenzionate.”. Il secondo, presentato dai consiglieri di Sel, M5s, Gruppo misto (La Torre, Bugani, Pieralisi, Piazza, Cipriani, Salsi, Sazzini) recepisce il risultato del voto del 59% dei votanti al referendum del 26 maggio e “impegna la giunta ad operare la riduzione progressiva del contributo alle scuole d’infanzia paritarie a gestione privata […], a partire dal suo dimezzamento nel 2014 e procedendo con la riduzione negli anni successivi del mandato amministrativo fino all’azzeramento del suo contributo”.

Se “Bologna riguarda l’Italia”, come abbiamo scritto tante volte ai tempi del referendum, la risposta del PD locale non è svincolata dalla posizione a livello nazionale che il partito ha assunto e assume rispetto alla questione pubblico/privato. Cosa spinga il Partito Democratico a disprezzare così ostentatamente la volontà popolare rimane difficile da capire. Nel senso che la tradizionale acquiescenza al sistema integrato, di cui i progenitori di ciò che oggi è il Partito Democratico furono gli artefici con la legge di Parità del 2000, dovrebbe e potrebbe essere meno netta, non solo in virtù del pronunciamento popolare; ma anche del fatto che l’elettorato di centro sinistra sta ingoiando rospi indigeribili da quando il PD governa con il Pdl. Aggravare ulteriormente lo iato tra aspettative dell’elettorato e scelte politiche con una posizione intransigente ed irrispettosa della partecipazione e dell’espressione popolare, può costituire l’ennesimo autogol di un partito ormai privo di qualsiasi identità, non solo passata e presente, ma anche – temo – soprattutto futura.

Il Comitato art. 33 ha sottolineato la mancanza di argomentazioni che motivino il mancato accoglimento del referendum; le iniziative di mobilitazione e informazione continueranno, auspicando che nel dibattito consigliare, che proseguirà il 29 luglio, si riconsiderino le posizioni espresse oggi da alcuni consiglieri PD e dal PDL e, dalla discussione degli Odg, si pervenga a una delibera, come previsto da Statuto e Regolamento comunali, che recepisca le istanze democraticamente affermate dai cittadini il 26 maggio.

È evidente, ora più che mai, che Bologna riguarda l’Italia. Ed è oggi il momento di dare a questo slogan efficace maggior sostanza e più ampio significato: chi ha a cuore la scuola della Repubblica, ora e subito, insomma, non può distrarsi dagli esiti del dibattito. E appoggiare senza riserve qualsiasi iniziativa dovesse derivare dal mancato accoglimento dell’inequivocabile risposta al quesito referendario.

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