Già la verità. Oggi è il 2 agosto e nella coscienza civile del Paese passa una scossa fatta di memoria, di testimonianze, di commemorazioni. Per non dimenticare. Per continuare ad esercitare quindi il diritto dei cittadini a sapere perché queste persone sono morte. Per mano di chi e soprattutto chi ha armato quella mano, in quale strategia, per quali fini. Non dimenticare non solo come ricordo dovuto alle vittime, ma per tenere accesa la speranza che i nostri figli sappiano su quali macerie camminano. Possano un giorno sapere quali meccanismi di potere hanno fatto sì che il nostro Paese fosse attraversato da una simile ondata di violenza e morte, da ogni fenomeno eversivo conosciuto: dal terrorismo nero a quello rosso, dallo stragismo al golpismo, passando per le mafie e per altre forze oscure ative nei decenni per vincolare la democrazia, per impedirne lo sviluppo. Per limitare la sovranità.
Oggi più che mai attraversiamo il sentiero stretto di questa democrazia incompiuta. Oggi più che mai l’opacità di forze oligarchiche, estranee alla dialettica politica e alla democrazia che immaginavamo, ci appare più presente, più incisiva. E determina scelte nazionali, grandi opere, azioni militari, operazioni umanitarie a suon di bombe, decisioni economiche suicide che indeboliscono il Paese e lo rendono ostaggio di chissà quali poteri. Oggi più che mai la fragilità della nostra democrazia appare evidente, crinata da qualcosa di ineffabile, di non raccontato fino i fondo, senza gli anticorpi della partecipazione, dell’informazione, della cultura.
Un tempo con Gianni Cipriani, mio fratello, parlammo in un libro di Sovranità limitata. Raccogliendo anche critiche indimenticabili per la loro pochezza. Una su tutte, di Pierluigi Battista (re dei tuttologi prima dell’avvento di Saviano), che intervistando niente-po-po-di-meno-che Ottaviano Del Turco, raccontò ai lettori che non era così, che tutto era chiaro, tutto alla luce del sole, tutto evidente. Sono passati oltre venti anni da quella “lettura chiara” della nostra storia, vi invito a raccontare quante verità sono emerse dal buco nero della memoria su mafia, intrallazzi Stato-criminalità, stragi, Ustica… Tutti passi che ci hanno portato – tra una opposizione tiepida e un potere racchiuso nei segreti non condivisi – a un Paese senza memoria, senza futuro, senza dignità.
Per questo penso sia utile pubblicare la narrazione di questa storia. E l’elenco dei nomi degli innocenti che persero la vita. E non ribadisco la questione del segreto di Stato (o di Stati). Si tratta di volontà politica, si tratta di capacità politiche e di coraggio. Che non c’è. D’altra parte la stagione della partecipazione e della conquista di una democrazia piena, gli anni Settanta, è stata soffocata come la storia ci mostra: con piombo e tensione. E dopo quella voglia di esserci sono arrivati gli anni di plastica, della realizzazione pratica di un progetto oscuro che in questo Paese con un po’ di sintesi chiamiamo della P2.
Lento costante piduismo che si è nascosto tra le pieghe della società e l’ha innervata. Che rabbia ripensare agli anni Novanta, alla gioiosa macchina da guerra che ha cominciato a dimenticare come il futuro della nostra libertà si basasse sulla verità condivisa da tutti e non da pochi. Come spesso accade nella storia, dietro l’illusione rivoluzionaria di Tangentopoli, diero la certezza della sinistra di avere ormai il governo nelle mani, è passata silenziosamente una restaurazione con tanto di annichilimento culturale. Con tanto di arrivo sulla scena del ventennio berlusconiano. E si è perso, soprattutto nell’informazione, il senso critico. Sono andati avanti gli accomodanti di tutte le stagioni, i cantori del modernismo senza radici politiche e culturali. E anno dopo anno ci ritroviamo a testimoniare il desiderio di una verità non c’è. A camminare sulle macerie di quello che poteva essere e non è stato. Ma senza arrendersi, questo è ovvio. Se proprio uno voleva arrendersi poteva farlo, rinunciando alla dignità, quando era semplice e compatibile politicamente farlo: ma ci deve essere pur sempre chi, con gentilezza, preferisce di no.
Ps. Non resisto. Come si fa a ottenere una verità storica seria in questo pastrocchio in cui piduismo, affarismo, speculazione, obbedienza a poteri occulti siedono nelle istituzioni fianco a fianco con chi (forse) dovrebbe dare voce a chi non ce l’ha, ai cittadini dimenticati e mortificati…
Per non dimenticare, ecco che cosa accadde il 2 agosto del 1980.
Alle
                              10.25 di sabato 2 agosto 1980,
                              un ordigno ad altissimo potenziale
                              esplose nella sala di aspetto di
                              seconda classe della stazione
                              ferroviaria di Bologna. L’esplosione
                              provocò il crollo della struttura
                              sovrastante le sale di aspetto e di
                              trenta metri della pensilina. Investì
                              anche due vetture di un treno in
                              sosta al primo binario. Le
                              conseguenze della esplosione furono
                              di terrificante gravità anche a
                              ragione dell’affollamento della
                              stazione in un giorno prefestivo di
                              agosto. Rimasero uccise ottantacinque
                              persone; oltre duecento furono
                              ferite. La città si trasformò in una
                              gigantesca macchina di soccorso e
                              assistenza. Il presidente della
                              Repubblica Sandro Pertini, giunto nel
                              pomeriggio a Bologna, non esitò ad
                              affermare: «Siamo di fronte alla
                              impresa più criminale che sia
                              avvenuta in Italia, al più grave
                              attentato dell’Italia repubblicana».
                              Quel giorno cominciò anche una delle
                              più difficili indagini della storia
                              giudiziaria. Il bilancio giudiziario
                              dell’attentato consta di 27 anni di
                              processi, l’ultimo dei quali si è
                              concluso nell’aprile 2007. Risulta
                              tuttora aperto un ulteriore filone
                              dell’indagine. Per la strage sono
                              stati condannati in via definitiva
                              tre appartenenti a un gruppo della
                              destra eversiva, che in quegli anni
                              erano stati autori, coautori o
                              complici di omicidi terroristici
                              quali quelli del magistrato Mario
                              Amato e degli agenti di Polizia
                              Arnesano ed Evangelista. Dalle
                              sentenze emerge il delirante progetto
                              perseguito da quel gruppo e da altri
                              a esso contigui. Si intendeva portare
                              avanti una «lotta nazionale
                              rivoluzionaria volta a disarticolare
                              il sistema», ricorrendo a forme di
                              terrorismo «sia indiscriminato che
                              contro obiettivi ben individuati»:
                              forme che, «contando sulla
                              impressione prodotta sia sul nemico
                              che sulle forze almeno in parte
                              favorevoli» avrebbero potuto –
                              secondo i terroristi – determinare
                              «quasi automaticamente un estendersi
                              della lotta armata».
                              Si legge nelle sentenze che il
                              progetto indicato è esposto in un
                              documento stilato da altro terrorista
                              di estrema destra nei cui confronti,
                              appena due giorni prima, era stata
                              depositata ordinanza di rinvio a
                              giudizio per la strage
                              sul treno Italicus del 22 maggio
                              1974, e che con i giovani che
                              sarebbero stati condannati per la
                              strage alla stazione aveva «non solo
                              piena consonanza ideologica, ma anche
                              familiarità».
                              Le sentenze a carico degli
                              appartenenti alla destra eversiva
                              hanno messo in evidenza anche le
                              responsabilità relative a una
                              «programmata azione di depistaggio
                              opportunamente predisposta e inserita
                              in una complessa strategia», posta in
                              essere fin dall’agosto 1980 e
                              culminata il 13 gennaio 1981 con la
                              collocazione di una valigia
                              contenente armi ed esplosivo sul
                              treno Taranto-Milano. Le sentenze,
                              anch’esse definitive, hanno
                              addebitato ad appartenenti ad
                              associazioni segrete e ai servizi di
                              informazione per la sicurezza, di
                              aver tenuto, per finalità
                              terroristico-eversive, condotte tese
                              ad «accreditare la ipotesi della
                              riferibilità della strage del 2
                              agosto 1980 ad organizzazioni
                              internazionali offrendo agli
                              inquirenti, in maniera subdola e
                              indiretta, artificiose e suggestive
                              indicazioni, aventi tutte una
                              costante e immutata connotazione:
                              quella di screditare la riferibilità
                              della strage ad un’autonoma decisione
                              di gruppi terroristici organizzatisi
                              in Italia, nell’area della destra
                              eversiva».
