Perché in Italia i giovani contano poco? Innanzitutto in confronto ai paesi industrializzati in Italia vi è una accentuata denatalità. I giovani italiani contano quindi meno anche perché il peso del loro voto si è sensibilmente alleggerito negli ultimi decenni.
Di fronte a questa diminuzione quantitativa, per mantenere competitivo il Paese, sarebbe strategico rispondere con un aumento qualitativo, sia sul piano della formazione che delle opportunità occupazionali e di partecipazione sociale. Pochi, ma almeno buoni, insomma.
È fondamentale che si consenta ai “migliori” di emergere e di raggiungere in tempi adeguati le posizioni di vertice. Purtroppo siamo molto lontani da questo obiettivo. Infatti, la classe dirigente italiana risulta essere una delle più gerontocratiche. I coetanei degli altri paesi “sviluppati” invece non solo sono quantitativamente di più, ma anche maggiormente incentivati ad avere un ruolo attivo nella società, a contribuire a farla crescere e prosperare.
I giovani quindi in Italia contano poco non solo per una questione demografica ma soprattutto perché si investe poco sulla loro qualità e sono scarsamente valorizzati. A testimoniarlo è, ad esempio, la nostra più bassa spesa nella formazione rispetto alla media europea, le ridotte opportunità occupazionali e le più basse remunerazioni in confronto ai coetanei occidentali.
A tutto questo si aggiunge una più ridotta spesa sociale verso le voci maggiormente destinate ai giovani e un maggior carico di debito pubblico sulle loro spalle. I giovani italiani contano quindi poco perché schiacciati dall’egoismo delle generazioni precedenti.
Ma anche perché si fanno sentire poco.
Solo il protagonismo positivo dei giovani può forzare una società chiusa e bloccata a fare scelte lungimiranti. Scelte coraggiose che consentano al paese di alzarsi in piedi e riprendersi il giusto posto nel mondo.
Difficile però che qualcosa cambi se si rimane seduti in riva al fiume aspettando che il cadavere della gerontocrazia passi. Per consentire che la profezia si autoavveri, per quanto basse sembrino le probabilità a suo favore, è necessario almeno crederci e predisporsi attivamente alla sua realizzazione.
Le primarie del Pd, in questo senso, sono un ottimo banco di prova di partecipazione e di speranza di cambiamento della classe dirigente partendo da una più ampia partecipazione alla costruzione della società attraverso la politica.
Secondo una ricerca realizzata dall’osservatorio Questioni primarie, i giovani italiani (18-34 anni) sarebbero attratti dalle primarie. I giovani partecipano con entusiasmo a questo tipo di voto. Nel 2007 un terzo dei votanti aveva meno di 35 anni. Per quanto consistente, la partecipazione giovanile è però percentualmente in calo. Le primarie del 2007 vinte da Veltroni videro il 30% di giovani, quelle del 2009 vinte da Bersani la percentuale scese al 24% e quelle del 2012 che confermarono la candidatura a premier di Bersani videro il 22% dei votanti sotto i 35 anni.
L’aspetto dello studio più interessante è quello che prende in esame le differenze nell’atteggiamento di voto dei giovani tra elezioni politiche e primarie. Le primarie risultano decisamente più attraenti delle elezioni agli occhi del giovane elettorato. Tra chi si era astenuto alle politiche del 2006 e invece vota alle primarie 2007, i giovani costituiscono la maggioranza, il 53%.
Le primarie quindi rappresentano, soprattutto per i giovani, una occasione di partecipazione reale ad un voto che conta e che può veramente cambiare le cose. Il rapporto con il candidato è più diretto.
Bisogna al più presto fermare questo trend negativo. Questo calo di partecipazione giovanile. Le primarie erano iniziate nel migliore dei modi. Potevano essere uno strumento di rilancio e di ricambio della classe dirigente spinto anche dai giovani.
Non far partecipare i 16-17enni alle primarie del 2012 fu un errore clamoroso. Non un errore solo per il PD ma per il Paese. Allontanare i giovani dalla politica e dalle sedi decisionali vuol dire rinchiudere l’Italia all’immobilismo. Per uscire da una crisi c’è bisogno di coraggio e di nuove idee. Ogni generazione deve avere la sua opportunità di decidere il proprio futuro anche a costo di sbagliare.