Giovanni Lo Porto: silenzio di tre anni e il discorso di Mattarella

Nel discorso di insediamento, il Capo dello Stato ha ricordato i 3 italiani ancora nelle mani dei rapitori, tra cui Giovanni Lo Porto.

Giovanni Lo Porto
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4 Febbraio 2015 - 18.11


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“Desidero rivolgere un pensiero ai civili impegnati, in zone spesso rischiose, nella preziosa opera di cooperazione e di aiuto allo sviluppo. Di tre italiani, padre Paolo Dall’Oglio, Giovanni Lo Porto e Ignazio Scaravilli non si hanno notizie in terre difficili e martoriate. A loro e ai loro familiari va la solidarietà e la vicinanza di tutto il popolo italiano, insieme all’augurio di fare presto ritorno nelle loro case”.

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Sergio Mattarella, neo eletto Presidente della Repubblica, nel suo discorso d’insediamento ha scelto di ricordare i 3 italiani ancora nelle mani dei rapitori. Padre Dall’Oglio, rapito il 29 luglio 2013, secondo il presidente dell’Osservatorio siriano per i diritti umani sarebbe vivo e detenuto in un carcere dello Stato islamico nella provincia di Aleppo; Ignazio Scaravilli, medico siciliano, è scomparso a Tripoli lo scorso 6 gennaio. E poi c’è Giovanni Lo Porto, cooperante italiano rapito a 38 anni in Pakistan il 19 gennaio 2012.

Da allora, solo attesa e angoscia, fino alle parole del Capo dello Stato, accolte con enorme gioia dai parenti e dagli amici, tra cui Margherita Romanelli, responsabile territoriale per l’Asia della ong bolognese Gvc e amica di Giovanni: “Per la prima volta, dopo tre anni di silenzio, le istituzioni iniziano a ricordare apertamente Giovanni. Ora sappiamo che rientra tra le priorità. Non che prima non lo fosse, ma quelle parole sono comunque sinonimo di riconoscimento pubblico. Noi e la famiglia siamo in attesa, e come sempre abbiamo massima fiducia nelle autorità”.

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Il governo, intanto, continua a chiedere il basso profilo, ma un segnale positivo è arrivato pochi giorni fa dal ministro per gli Affari esteri Paolo Gentiloni che, parlando di padre Dall’Oglio e di Lo Porto, le ha definite “due vicende alle quali lavoriamo con discrezione giorno per giorno”.

Lo Porto fu rapito assieme al collega tedesco Bernd Muehlenbeck: quest’ultimo è stato liberato lo scorso ottobre dalle forze speciali di Berlino. Ha raccontato di essere stato insieme con Giovanni fino a un anno fa: “Abbiamo accolto la liberazione di Bernd con tanta soddisfazione – commenta Romanelli –, pensavamo che quella di Giovanni sarebbe arrivata di lì a poco, perché ipotizziamo che i sequestratori siano gruppi diversi di una stessa matrice. Stiamo ancora aspettando.

Se ce l’ha fatta la Germania, ce la deve fare per forza anche l’Italia”. Un po’ di fiducia l’ha portata anche la liberazione delle due giovani cooperanti Greta Ramelli e Vanessa Marzullo? “I due avvenimenti sono molto diversi: la ong per la quale Giovanni lavorava al momento del rapimento è molto grande, e aveva avuto garanzie di sicurezza per lavorare in quelle aree. Giovanni ha moltissima esperienza nel campo della cooperazione: dopo gli studi tra Inghilterra e Giappone, è stato in Croazia, Haiti, e anni prima nello stesso Pakistan”. Al momento del sequestro Lo Porto lavorava con la ong tedesca Welt Hunger Hilfe su un progetto finanziato dalll’Ue: a Multan, la quinta città più popolosa del Pakistan, erano alle prese con centinaia di famiglie in grave difficoltà, colpite dalle devastanti alluvioni che avevano flagellato la zona di Kot Addu nella provincia del Punjab. Anche alla luce di questo, Romanelli chiede che la situazione di Lo Porto sia affrontata con particolare sensibilità: “Giovanni è un cittadino italiano e in quanto tale va tutelato. E poi: lui era là per dar corpo alle linee di politica estera dell’Italia e dell’Europa. Non possono abbandonarlo”.

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Intanto, la petizione Non lasciamolo solo #VogliamoGiovanniLibero su Change.org (www.change.org/p/non-lasciamolo-solo-vogliamogiovannilibero) continua: a oggi ha raccolto 75.483 firme. “Negli ultimi mesi la spettacolarizzazione di certi eventi ci ha preoccupato ancora di più. Vedere le immagini del pilota giordano è sconvolgente. Ma anche per questo pensiamo che, se a essere colpito fosse stato Giovanni, l’avremmo saputo. Avrebbero strumentalizzato la notizia, fatta girare il più possibile. Il silenzio da parte dei sequestratori ci fa sperare che lui sia ancora in vita”.

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