Il pm Eugenio Fusco ha chiuso le indagini nei confronti di Roberto Maroni per turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente e induzione indebita per presunte pressioni per far ottenere un lavoro e un viaggio a Tokyo a due sue ex collaboratrici al Viminale. Tra i 6 indagati anche la società Expo e il suo direttore generale Christian Malangone.
L’induzione indebita è compresa nella legge Severino e, nel caso di una condanna di primo grado, Maroni potrebbe dover lasciare la carica.
Gli atti – “Christian, il Pres. ci tiene acchè la delegazione per Tokyo comprenda anche la società Expo attraverso la dottoressa Paturzo e voleva” che anche lei “viaggiasse” in business class e in albergo di lusso”. È l’sms, agli atti dell’inchiesta, che il dg di Expo Malangone riceve il 27/5/2014 da Giacomo Ciriello, capo della segreteria del governatore lombardo.
Secondo l’accusa Maroni avrebbe fatto “pressioni”, attraverso il capo della sua segreteria Giacomo Ciriello, affinché il dg di Expo Christian Malangone promettesse di “intervenire” sulla società per il pagamento di “biglietti aerei business class” e per il soggiorno “di lusso” in un albergo per un totale di oltre 6mila euro a favore dell’ex collaboratrice di Maroni, Maria Grazia Paturzo, in relazione ad un viaggio a Tokyo. Lo contesta il pm di Milano Eugenio Fusco nell’avviso di chiusura indagini. Secondo gli inquirenti, dall’inchiesta sarebbe emerso anche un legame affettivo-sentimentale tra Maroni e la Paturzo, sua ex collaboratrice al Viminale.
Maroni: è una sciocchezza – Il commento di Roberto Maroni: “Finalmente dopo un anno le indagini si chiudono, era ora. Se per una sciocchezza come questa ci vuole un anno poveri noi. Io sono tranquillissimo”. “Io sono tranquillissimo – ha detto durante una conferenza in Regione con Giovanni Toti – nella mia vita non ho mai fatto pressioni, neanche per amici, figli o parenti”. Il presidente lombardo ha sottolineato di “essere colpevole solo di un cosa, di aver fatto risparmiare soldi alla Regione” non partecipando al viaggio a Tokyo per l’Expotour finito nella inchiesta. “Ho mandato il vicepresidente Mantovani – ha concluso – che ha viaggiato con 4 anzichè 6 persone”.
La difesa di Maroni: non c’è reato né danno nelle casse della Regione – “A parte citazioni ad effetto di alcuni sms il cui contenuto è stato palesemente (e sorprendentemente) modificato, non si colgono ne’ gli estremi del reato, né tanto meno il danno per le casse di Regione Lombardia”. Lo ha scritto in una nota Domenico Aiello, difensore di Roberto Maroni, dopo aver “letto attentamente l’avviso di conclusione delle indagini notificato al Presidente” della Regione Lombardia “via email”.
Il legale, a proposite delle contestazioni mosse dal pm di Milano Eugenio Fusco, spiega che a suo avviso si tratta di “elementi minimi necessari per poter “enunciare” una ipotesi di reato, ancor prima di affrontare il tema centrale del dolo che nel caso del Presidente Maroni è del tutto inesistente”.
L’avvocato aggiunge inoltre che “il mancato viaggio del Presidente Maroni, disdetto per scelta istituzionale, ha prodotto un risparmio documentato alla Regione”. “Spero, viste le particolari capacita’ giuridiche del dott. Fusco, – prosegue la nota – che l’accusa non si lasci tentare dalle tante sirene del consenso e si torni da subito a discutere e confrontarsi di fatti e non di valutazioni extra giuridiche che non hanno alcuna rilevanza sul piano penale”. “Occorre procedere con senso di responsabilita’ – conclude il difensore – e dare da subito alle contestazioni la corretta dimensione. Ritengo che il curriculum istituzionale del Presidente Maroni consenta a tutti gli operatori questo pur minimo riguardo”.