Ci mostra in ospedale le diverse ferite da ustioni alla gamba che ha subito con un ferro da stiro quando era in Nigeria. E’ forte Janine, che ha 28 anni, e ci accoglie con il sorriso, nonostante la sua storia sia fortemente drammatica. I volontari della comunità di Sant’Egidio non hanno mai smesso di seguirla. Sono loro che la assistono ogni giorno, che l’hanno accompagnata nella difficile fase di recupero. Janine, infatti, è arrivata in ospedale circa due mesi fa con una grave trombo flebite e mostrava una gamba piena di ferite da ustioni. Adesso finalmente sta meglio e per sei mesi dovrà prendere dei farmaci salvavita anticoagulanti. Il suo più grande desiderio, però, è quello di potere riuscire a riabbracciare il compagno, il padre dei suoi due bambini che sono rimasti in Nigeria, come dice lei, con “una persona buona”. Il marito, invece, si trova attualmente ospitato in un centro di accoglienza di Messina dove ancora non ha istruito la pratica di richiesta d’asilo.
La sua storia. La ragazza due mesi fa si trovava nel barcone fatto partire dalla Libia nonostante ci fossero delle ragazze eritree gravemente ustionate a causa dello scoppio di una bombola di gas. Il gruppo di migranti, una volta arrivato a Lampedusa, ha avuto sorti diverse: lei insieme a tutto il gruppo di ferite sono state portate d’urgenza nel reparto chirurgia plastica di un ospedale cittadino di Palermo mentre il marito è stato accolto in un centro di Messina. All’inizio si pensava che anche lei fosse rimasta ferita dallo scoppio della bombola di gas come le giovani eritree (due delle quali, purtroppo, poi sono morte proprio per le gravi ferite riportate). Invece, a poco a poco, si è scoperto una parte della drammatica storia di Janine, fatta di rivolte, torture e fughe da una delle zone più violente del sud della Nigeria. La donna in Nigeria, insieme al marito, faceva parte di un gruppo di persone che volevano occupare le terre per cambiare il loro futuro. Ad un certo punto il marito ha deciso di convertirsi diventando pentecostale e non aderendo più al gruppo di cui faceva parte.
Ma il cambiamento non fu accettato dal gruppo. “Mio marito un giorno si è guardato allo specchio – racconta – e ha deciso di cambiare anche se sapeva a quali rischi andavamo incontro. Diventando un cristiano pentecostale non ha voluto più seguire il gruppo con tutte le conseguenze del caso. Un giorno siamo stati aggrediti, lui è scappato perché volevano ucciderlo e i bambini sono finiti in mano a chi ha promesso di ‘proteggerli’”. Janine, invece, è rimasta in mano ai suoi aguzzini subendo delle torture con un ferro da stiro. Solo successivamente il marito è riuscita a salvarla, fuggendo con lei a piedi verso la Libia. “Ho camminato con la gamba tutta ferita dalle ustioni ma non ho mai perso la speranza – racconta ancora -. Nel nostro cammino abbiamo incontrato anche chi ci ha aiutato vedendo in quali condizioni ero io”. Una volta arrivati in Libia la coppia è stata aiutata da un uomo arabo per il quale ha lavorato il marito fino al giorno della partenza per l’Italia.
Janine ogni giorno prega nel letto d’ospedale, sperando fortemente che la sua situazione di vita possa cambiare in meglio. Starà alle due prefetture di Messina e Palermo, insieme all’impegno delle assistenti sociali, valutare dove e come fare ritornare insieme questa coppia che così potrà avviare le pratiche per la domanda di riconoscimento dello status di rifugiati. Janine avrebbe bisogno di essere inserita in una realtà dove fare dei controlli sanitari periodici. “Con grande fatica – racconta Consuelo Lupo una delle volontarie della comunità di Sant’Egidio – siamo riuscite a risalire al marito ed a farli sentire telefonicamente, un momento emozionante per loro. Non siamo riuscite ancora a farli incontrare ma speriamo, grazie all’interessamento delle assistenti sociali di Messina e Palermo, che questo avvenga al più presto. E’ riuscita anche con un telefono satellitare a parlare in Nigeria con la sorella che ha detto che i suoi due bambini, rispettivamente di 6 e 4 anni, stanno bene e sono stati affidati ad una persona che si sta prendendo cura di loro”.