di Fiorella Pini
Pochi giorni fa, domenica 30 agosto, è uscito su El País un lungo articolo intitolato “La Caída de Roma” (La Caduta di Roma, n.d.r., con evidente riferimento a quella del 476 d.c., a opera dei Barbari di Odorisio). La firma è di Pablo Ordaz, brillante penna del quotidiano spagnolo e corrispondente da Roma per lo stesso giornale. Attento osservatore della realtà italiana ed in particolare romana, dice di aver raccolto le informazioni riportate e commentate nell’articolo, nel corso di una conversazione-confessione con un giudice direttamente coinvolto nelle indagini di Mafia Capitale.
La lettura risulta di una lucidità paralizzante. Non certo per il contenuto in sé: non si fanno – per fortuna – ulteriori ed imbarazzanti rivelazioni su inediti scandali e malversazioni. Ma, al contrario, per la disarmante ingenuità con cui spiega, forse a beneficio di lettori meno avvezzi alla perversione degli intrighi politici nostrani, la altrimenti inspiegabile reazione catatonica dei cittadini romani.
“Quasi mai lo Stato riesce a far funzionare le imprese confiscate alle organizzazioni mafiose”.
Il virgolettato del giudice dà voce ad un’impotenza delle istituzioni che lascia senza parole.
In molti, ritengo, dopo lo scoppio del bubbone di “mafia capitale”, a dicembre dello scorso anno, abbiamo sperimentato, oltre all’indignazione, una scarica adrenalinica. Qualcosa si muove. Finalmente. È una cloaca, sì, ma dopo l’inondazione pestilenziale, forse si tornerà a respirare aria pulita. Ritrovato interesse per la lettura quotidiana del giornale, per gli approfondimenti, i dibattiti, le interviste… perfino per la satira un po’ becera e le t-shirt immediatamente apparse sulle bancarelle con la scritta “Mafia Capitale”, assurta a dignità di brand.
Poi, il divario: al crescendo dei media sulla valanga inarrestabile dei risultati delle indagini non si è alzata la guardia dello Stato. Nessun segnale concreto. Nessun impegno formale. Fino al parossismo del funerale del Padrino Casamonica: le Istituzioni come le tre scimmie sacre, che non vedono, non sentono e non parlano del Male.
La mafia – singolare collettivo – non è più forte dello Stato. È che la mafia, si vede, si sente, si vive tutti i giorni. Lo Stato, semplicemente è assente. Diventa, quindi, più facile comprendere chi, vivendo nella “città più bella del mondo”, decide di saziare la vista con la luce dei suoi tramonti, perdersi nella struggente poesia di vicoli ammantati d’edera, annegare il traffico nello scrosciare delle tante fontane. E cancellare tutto il resto. La bellezza diventa paraocchi, alibi, assoluzione definitiva da opporre a qualunque critica, qualunque argomento negativo.
Ho provato a formulare una domanda: se il vostro migliore amico vi presentasse la sua fidanzata e vi dicesse “È una ladra, ignorante, sporca, bugiarda e anche un po’ immorale… ma è bellissima” non provereste a convincerlo che forse, per una vita felice, la bellezza non basta?