Carabiniere sotto inchiesta per il caso Cucchi: ha mentito

La deposizione del maresciallo Mandolini è in conflitto con i fatti accertati dal pm. Intanto l'inchiesta bis della Procura sta analizzando la posizione di altri due agenti.

La sorella di Stefano Cucchi, Ilaria
La sorella di Stefano Cucchi, Ilaria
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10 Settembre 2015 - 12.03


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Tre carabinieri sono finiti sotto inchiesta per la morte di Stefano Cucchi. Per l’ex vicecomandante della stazione di Tor Sapienza dove il ragazzo fu portato la notte dell’arresto (il 15 ottobre 2009), l’accusa è di falsa testimonianza. La deposizione del maresciallo Roberto Mandolini al processo d’appello contro medici e agenti della polizia penitenziaria è infatti in conflitto con i fatti accertati dai pm. Gli altri due agenti sotto inchiesta sono: Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, per loro non è stata ancora formalizzata un’accusa ma potrebbero finire nel registro degli indagati per le percosse inflitte al ragazzo.

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“Prendiamo atto con soddisfazione la notizia che ci sarebbero tre carabinieri sotto inchiesta per la morte di Stefano Cucchi. Credo si tratti solo dell’inizio; la verità sta venendo a galla”, ha commentato Fabio Anselmo, legale della famiglia Cucchi, Lunedì l’avvocato s’incontrerà con il procuratore Pignatone.

Quella dei tre agenti sotto inchiesta è la novità dell’inchiesta bis della Procura di Roma. Dopo l’assoluzione in corte d’appello di medici e agenti della penitenziaria, la Procura ha iniziato le indagini sulla falsa testimonianza di Mandolini. Il vice comandante di Tor Sapienza, caduto più volte in contraddizione sulla propria partecipazione alle perquisizioni domiciliari eseguite nei confronti di Cucchi, ha spiegato senza convincere le ragioni del mancato fotosegnalamento. La giustificazione data dal maresciallo in aula fu la seguente: «Il signor Cucchi mi disse che non gradiva sporcarsi con l’inchiostro per gli accertamenti dattiloscopici (impronte, ndr) e fotosegnaletici. Dopo questa sua richiesta non ho ritenuto necessario farlo, visto che era una persona tossicodipendente, non l’ho voluto sforzare a fargli questa identificazione e non gli feci fare questi rilievi».

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Gli altri due agenti, Di Bernardo e D’Alessandro, quella notte avrebbero lavorato in borghese, secondo una confidanza fatta da Cucchi a un altro detenuto del carcere Regina Coeli. L’inchiesta del pubblico ministero Giovanni Musarò, che ha in mano l’inchiesta bis, dovrà risolvere però un enigma: nessuno dei due carabinieri risulta ufficialmente fra chi eseguì l’arresto di quella notte.

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