L’ultimo naufragio nel mar Mediterraneo, avvenuto alla vigilia di Natale, conta almeno 100 dispersi, secondo l’Alto commissariato Onu per i rifugiati. E allunga così la lista nera delle vittime del mare nel 2016: con un totale di circa cinquemila morti è stato infatti l’anno nero dell’immigrazione. “Il peggior bilancio di sempre in termini di perdite di vite umane – sottolinea l’Unhcr – . Nel 2016, ogni giorno in media 14 persone sono morte nel Mar Mediterraneo: il numero più alto mai registrato”. Ma l’aumento dei naufragi non è l’unico record negativo che si porta dietro l’anno in corso: il 2016 verrà ricordato infatti anche per il ritorno dei controlli alle frontiere, che hanno ridisegnato la mappa dell’accoglienza nei paesi europei, e per i contestati accordi bilaterali fatti con alcuni paesi di origine e transito (Turchia, Afghanistan, Sudan ) per controllare il flusso verso l’Europa.
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I corridoi umanitari: l’alternativa possibile, che ancora solo una sperimentazione. Secondo padre Camillo Ripamonti, direttore del Centro Astalli è tempo di mettere fine alle tragedie del mare creando una reale alternativa ai viaggi. “Cinquemila morti è un dato molto grave anche perché peggiora ogni anno, nonostante le operazioni di salvataggio. Questo ci dice molto sulla pericolosità dei viaggi e ribadisce la necessità di offrire a queste persone che scappano un’alternativa – sottolinea -. Servono corridoi umanitari e un reale impegno allo sviluppo nei paesi di origine. Finora gli accordi con i paesi di partenza hanno avuto solo l’obiettivo di ridurre i flussi. Un atteggiamento fallimentare di chiusura: serve una politica più lungimirante. Chiudersi nella fortezza Europa non porta a nulla, bisogna invece mettere insieme le esigenze di tutela e accoglienza di tutti i paesi”. E proprio all’inizio di quest’anno è partita la sperimentazione dei corridoi umanitari: un progetto ecumenico, promosso da Sant’Egidio, Tavola Valdese e Chiese evangeliche che ha l’obiettivo di portare in Italia mille migranti entro il 2017. E che verrà ampliato anche con l’apporto della Cei il prossimo anno, coinvolgendo 500 profughi sudanesi, eritrei e somali.
I numeri dell’immigrazione 2016. Ma quali sono stati i numeri dell’immigrazione nel 2016? In tutto sono circa 350mila le persone che hanno attraversato il Mediterraneo quest’anno per approdare sulle coste europee: 173.208 nella rotta orientale verso la Grecia (dato Unhcr aggiornato al 26 dicembre) e 180.375 nel Mediterraneo centrale verso l’Italia (dato ministero dell’Interno aggiornato al 28 dicembre). Un numero molto inferiore rispetto al 2015, quando si è sfiorato il milione: solo verso la penisola ellenica erano più di 800mila gli arrivi. Il cambiamento è dovuto al contestato accordo tra l’Unione europea e la Turchia che ha di fatto fermato il flusso e bloccato migliaia di persone in Grecia, in attesa di essere ricollocate in altri paesi europei o, se considerate non richiedenti asilo, di essere rimandate indietro. Ma il programma di relocation non ha mai raggiunto i numeri ipotizzati all’inizio, e così i profughi (per la maggior parte siriani e afgani) sono costretti a vivere nei campi attrezzati del paese, con un senso di incertezza verso il futuro. Di contro, il numero degli arrivi in Italia è aumentato: non si può parlare, però, di un cambio di rotta, sia per i numeri nonostante tutto contenuti, sia perché le persone che attraversano il Mediterraneo centrale provengono tutte più o meno dagli stessi paesi (Eritrea, Nigeria, Gambia) mentre pochissimi continuano ad essere, negli ultimi anni, i siriani e gli afgani (che si concentrano invece sulla rotta orientale). Per l’Italia il numero è comunque il più alto di sempre: il 17,3 per cento in più rispetto al 2015 (quando gli arrivi sono stati 153mila) e il 6, 54 per cento rispetto al 2014 che con 169.304 arrivi era stato già battezzato come anno record. A preoccupare è, in particolare, l’aumento dei minori stranieri che arrivano soli nel nostro paese: sono 25mila nel 2016, erano la metà (12.360 nel 2015). “Sono sempre più piccoli e stanno aumentando anche le ragazze – spiega Antonella Inverno, responsabile Policy di Save the children -. La situazione dei minori stranieri in Italia continua a peggiorare. La loro tutela deve essere una priorità”.
Accoglienza: quasi 180mila accolti, cresce lo Sprar ma non basta. Sul piano interno, nel 2016 anche l’accoglienza è lievitata nei numeri. Da paese di transito l’Italia sta diventando sempre di più paese di approdo, sia per l’aumento delle persone che arrivano, sia per l’entrata in vigore dell’agenda europea per l’immigrazione, che prevede il nuovo approccio hotspot (con l’identificazione all’arrivo e tutte le conseguenze che derivano dal Regolamento Dublino). Ma a incidere è anche la stretta dei controlli alle frontiere, che ha di fatto fermato il percorso migratorio di molti richiedenti asilo nel nostro paese. Dall’inizio dell’anno ad oggi sono 175mila i migranti in accoglienza: erano 103mila nel 2015 e appena 66mila nel 2014. La maggior parte dei posti continuano ad essere messi a disposizione attraverso i cosiddetti Cas (centri per l’accoglienza straordinaria) mentre solo il 20 per cento (circa 27mila posti) fa capo al Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar). Proprio per aumentare la rete dello Sprar il ministero dell’Interno, di concerto con l’associazione dei comuni sta modificando le regole per aderire ai progetti: non sarà più necessario partecipare al bando biennale e sono previsti anche bonus economici.
Frontiere e accoglienza dal basso: mentre gli Stati si chiudono i cittadini continuano ad aiutare i rifugiati. Ma proprio per il rafforzamento dei controlli ai confini degli stati europei molti migranti che sono approdati nel nostro paese, con il progetto di continuare il viaggio verso il nord Europa, si sono trovati di fronte una porta sbarrata. Diversi sono stati i luoghi improvvisati per l’accoglienza informale: da Como a Ventimiglia, fino a Roma dove è continuata l’esperienza degli attivisti e volontari del Baobab. Un’accoglienza dal basso che nonostante tutto continua a crescere e fare rete, per dimostrare che esiste un’altra Europa, che non alza i muri, ma accoglie e dà quelle risposte che molti Stati non riescono più a dare. (ec)