In fila al banco dei pegni costretti a disfarsi della memoria
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In fila al banco dei pegni costretti a disfarsi della memoria

A Palermo ho vissuto, e ho casa, a due passi dal nuovo monte di pietà, quello antico è un palazzetto della memoria in uno dei quartieri popolari del centro storico

Immagine di repertorio
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Onofrio Dispenza Modifica articolo

17 Aprile 2020 - 12.47


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“A Torino sono passata davanti al banco dei pegni tantissime volte, ma solo di recente ho scoperto cosa fosse. Ero legata a una visione romantica, cinematografica di quel posto, l’ultima volta l’avevo visto in L’uomo del banco dei pegni di Sidney Lumet”. Sono andato a riprendere le parole di Irene Dionisio, regista che qualche anno addietro ha girato Le ultime cose, un film sull’umanità costretta a disfarsi dei ricordi più cari.
Ho ripensato a quel film e al comune dicordo del film che Lumet trasse da un romanzo di Edward Lewis Wallant, per una foto apparsa oggi sul sito de La Stampa: una lunga, nervosa coda per arrivare allo sportello del banco dei pegni. Foto che entra d’obbligo nell’album fotografico di questa crisi, sanitaria ma forse ancor prima economica. Non economica dopo, ma prima, perchè i danni dell’emergenza sanitaria sono frutto di criminali modelli economici impregnati di egoismo e cinismo.
Ha ragione papa Francesco quando con dolore parla dello tsunami che sta travolgendo ogni elemento, umano e non, legato alla memoria. Se ne vanno ( in verità abbiamo ucciso ) i vecchi, ora tocca disfarsi dei ricordi più intimi, come capita sul baratro delle crisi più nere. Per andare avanti, per mangiare, ultima stazione del calvario è il banco dei pegni, il monte di pietà.                 
A Palermo ho vissuto, e ho casa, a due passi dal nuovo monte di pietà, quello antico è un palazzetto della memoria in uno dei quartieri popolari del centro storico, lì dove la povertà era, e continua ad essere, a portata di mano. E sotto il mio balcone, a far concorrenza al monte di pietà, c’erano e continuano ad esserci diversi “Compro oro”. Penso che in questi giorni avranno tanto da fare.
Sbirciavo sempre al loro interno, sbirciavo soltanto, per cogliere qualcosa che potesse farmi ricostruire la storia dietro ad un anello di cui disfarsi. E ogni volta pensavo al personaggio di Lumet, a quel numero 1642 di Park Avenue, set del film. La Dionisio pensò a quel film per osservare la crisi economica e sociale, eravamo – se ricordo bene – nel 2016. Suo riferimento, e riferimento dei miei ricordi cinematografici, come detto, il film con Rod Steiger. Film con tante difficoltà iniziali, con molte critiche, con tanti no da registi ai quali era stato proposto di dirigere il film. Tra questi il nostro Visconti. Nel film della Dionisio, il racconto è diviso tra l’interno e l’esterno del banco. Dentro, un giovane perito alle prese col senso di colpa, fuori il sottobosco criminale dei ricettatori, pronti a comprare dai più disperati. Per certi aspetti, come i pubblici “Compro oro” di oggi.
Nel film della Dionisio, la macchina da presa era aiutata dalle telecamere di sorveglianza: “La prima volta che ho visitato il banco di Torino – ha raccontato la regista – sono rimasta colpita dalle immagini dei video di sorveglianza, trasmettevano lo stesso tipo di freddezza che emana da quel luogo…”. E quel banco oggi ritorna in una foto. Quello che c’è dentro il banco, allo sportello, è censurato dal pudore. Il dolore, quello che è rimasto tra le pareti di casa di chi è venuto in queste ore al banco di Torino, lo si può ricostruire: interno di famiglia, guardarsi attorno, parlarsi dopo aver raschiato l’ultimo euro dal fondo, fare il conto con le bollette, con il lavoro mai arrivato o perduto, il lavoro sempre incerto, fragile come i petali maturi in balìa del vento che torna ad essere freddo quando il tempo ritorna inclemente. Poi, la decisione: si aprono i cassetti, si tira fuori la scatola di latta dal cassettone, lì, dietro la biancheria, si recuperano gli oggetti dei giorni felici, o comunque sereni.
Si comincia dai ricordi che che faranno meno male, poi l’affondo impietoso su quelli che sono stati passaggi importanti della vita. Ultimo atto, di buonora mettersi in coda, provando ad essere invisibili.

 

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