Non sono vere le notizie su una presunta minore diffusione del Coronavirus tra gli stranieri in Italia, mentre si registra un maggior tasso di ospedalizzazione e decessi rispetto agli italiani che fa ipotizzare un “ritardato accesso al test” da parte degli immigrati. Lo ha chiarito Giovanni Rezza dell’Istituto superiore della sanità.
Rezza ha riferito che rispetto agli italiani tra gli stranieri c’è 40% in meno di possibilità di essere “notificati” positivi al virus (0,6 rispetto a valore 1), ma hanno una maggiore probabilità di essere ospedalizzati (1,4 rispetto a 1) e di finire in terapia intensiva. “Se cominciamo a ragionarci – ha spiegato Rezza – questo può voler dire che sostanzialmente uno straniero ha più bassa probabilità di essere notificato, e quindi un certo ritardo nell’accesso al tampone, ma ha maggior ricorso all’ospedalizzazione una volta che arrivano ad avere test positivo” e “rischio più alto, di andare in terapia intensiva”. Questo significa che “magari arrivano più tardi ai test e all’ospedalizzazione”. Così “per quanto riguarda i decessi abbiamo 1.1, di poco più elevato rispetto a quello degli italiani (1, ndr) e supera 1.2 negli stranieri da paesi a basso reddito”.
“In linea di massima – ha spiegato Rezza – possiamo confutare l’ipotesi che ci sia una differenza in termini di rischio di malattie gravi negli stranieri rispetto agli italiani. L’ipotesi che siano in qualche modo protetti mi sembra si possa confutare e in linea di massima mostrerebbe semmai un ritardato accesso al test e un aumentato rischio di ospedalizzazione e decesso”, ha detto l’esponente dell’Iss, che ha notato come “anche motivi economici possono indurre a evitare la sospensione dell’attività lavorativa, ipotesi corroborata dalla maggiore ospedalizzazione registrata”.
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