Padre Ripamonti, del Centro Astalli: "I decreti sicurezza non hanno creato sicurezza ma vite precarie"
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Padre Ripamonti, del Centro Astalli: "I decreti sicurezza non hanno creato sicurezza ma vite precarie"

Sono 20mila i rifugiati che il Centro Astalli ha citato nel 2019 di cui 11 mila solo a Roma.

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20 Maggio 2020 - 09.51


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“Abbiamo reso rigido legalmente e articolato burocraticamente il rinnovo del permesso di soggionro che prima era umanitario. Adesso il decreto rilancio aiuta braccianti, colf e badanti, un primo passo che non ci può però bastare”: così padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, in occasione della presentazione del rapporto annuale dell’organismo dei gesuiti che si occupa di rifugiati. “Ringraziamo il governo ma lo incoraggiamo a continuare in questa direzione”, ha detto il sacerdote.
Sono 20mila i rifugiati che il Centro Astalli ha citato nel 2019 di cui 11 mila solo a Roma. La branca italiana del Jesuit Refugee Service (Jrs) ha ospitato 835 persone nelle proprie strutture, quasi l’un per cento dei rifugiati nal paese (91.424).
“In tutti i servizi si sono sentiti gli effetti dei decreti sicurezza”, promulgati nel 2019 dal Governo quando Matto Salvini era ministro dell’Interno, “non tanto sul numero delle persone quanto sulle loro vita che è diventuta sempre pià precaria”, ha detto padre Ripamonti. “La precarietà, la povertà, l’invisibilità a cui abbiamo costretto i migranti non sono stati causati dalla pandemia e in queste settimane di ‘io resto a casa’ è diventato ancora più evidente che molte persone questa casa non ce l’hanno e tra questi molti migranti che abbiamo reso nel tempo più precari. Abbiamo reso l’accoglienza uno strumento a tempo e non uno strumento che possa trasformarsi in un progetto di vita”.
“Vite precarie”, ancora, “perché la legge sull’immigrazione non è al passo con i tempi, e quando chiediamo di regolarizzare e chiediamo diritti emergono vecchie posizioni ideologiche”.
Come Centro Astalli, ha ricordato il gesuita, “nell’abito della campagna ‘Ero straniero’ abbiamo presentato nel 2017 una legge di iniziativa popolare che auspichiamo possa tornare sui banchi del governo per essere affrontata”.
“Stiamo assistendo ad una dis-integrazione nel senso di una cattiva e, in molti casi, di una mancata integrazione. Questo sta portando ad una distruzione del tessuto sociale che invece va creato per costruire una comunità di vita. Anche il 2019 è stato un anno in cui abbiamo resistito a questa dis-integrazione. Ma ormai è evidente che resistere non basta più, occorre rigenerare, avere molta fantasia sociale”.

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