Il garante alle forze di polizia: "Allarme per i gravi fatti, si rischia la lacerazione del paese"

Il Garante nazionale delle persone private della libertà Mauro Palma: "Non è ammissibile che le persone sotto il controllo di chi esercita l'autorità in nome della collettività, possano subire forme di violenza

Mattarella e il garante dei detenuti Mauro Palma
Mattarella e il garante dei detenuti Mauro Palma
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31 Luglio 2020 - 15.43


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Una situazione davvero preoccupante: a seguito di “gravi fatti” che hanno coinvolto operatori di diverse Forze di polizia, il Garante nazionale delle persone private della libertà, Mauro Palma, ha incontrato i rispettivi vertici per esprimere “la preoccupazione per il rischio del diffondersi di una cultura della contrapposizione che non potrebbe che portare a una lacerazione sociale”.
Da qui l’esigenza “di agire insieme per una crescita della cultura dei diritti degli operatori capace di dare corpo e sostanza a un agire rispettoso dei principi della Costituzione, anche in condizioni difficili”. Diverse le “drammatiche vicende” che hanno suscitato la “viva preoccupazione” del Garante, a cominciare dalle “ripetute segnalazioni di episodi di violenza nell’Istituto penitenziario di Torino”, già denunciate a suo tempo alla procura dallo stesso Mauro Palma.
Sui fatti farà luce la magistratura, ma le carte dell’indagine hanno evidenziato “anche una cultura di alcuni settori, altrettanto grave proprio perché espressione di persone che indossano una divisa”. Un aspetto che pone “seri interrogativi sulla capacità e sulla volontà di intervento da parte di chi aveva il compito di vigilare”.
“Analoga devianza culturale” è emersa dalle indagini sul gruppo di carabinieri di Piacenza. “Così come altri episodi riferiti in questi giorni e relativi a un fermo a Roma, per ora affidati all’iniziale accertamento di quanto riportato, chiamano in causa alcuni agenti della Polizia di Stato e portano nuovamente all’attenzione quanto il Garante ha recentemente segnalato alla procura di Agrigento circa la concezione di taluni del proprio ruolo nei confronti di persone fermate o ristrette: persone affidate al loro controllo, responsabilità e tutela”.
“Non è tollerabile il linguaggio che si è visto emergere da carte che riportano intercettazioni di colloqui di appartenenti a Forze dell’ordine; non è ammissibile che le persone, una volta riportate sotto il controllo di chi esercita l’autorità in nome della collettività, possano subire forme di violenza; né è accettabile qualsiasi indulgenza o asserita inconsapevolezza perché finirebbe implicitamente per proiettare quell’innegabile messaggio di impunità che è il vero germe distruttivo delle Forze dell’ordine in una democrazia”.
Lo sostiene il Garante nazionale delle persone private della libertà che ha incontrato i vertici della Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri, della Polizia penitenziaria e della Guardia di finanza per offrire il proprio contributo a una riflessione su tali temi e a un rafforzamento di un’azione comune per la costruzione di un impianto culturale che isoli tali comportamenti.
In particolare il Presidente del Garante nazionale, Mauro Palma, insieme a una delle due componenti del Collegio, Daniela de Robert, ha incontrato il Prefetto Franco Gabrielli, il Comandante generale Giovanni Nistri, il Comandante generale Giuseppe Zafarana e il Capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, Bernardo Petralia.
Al centro degli incontri, spiega una nota del Garante- che invitato le forze di polizia a costituirsi parte civile nei processi che riguardano i propri appartenenti – ” la condivisione di tre termini che rischiano per taluni di costituire dei costruttori culturali negativi e che richiedono quindi particolare attenzione nelle fasi di formazione iniziale e in itinere. La prima parola erroneamente declinata riguarda la produttività della propria azione, interpretata come quantità di operazioni portate avanti, quale indicatore della positività del proprio ruolo e della speranza di carriera. La seconda parola è inimicizia, qualora essa finisca per connotare la relazione tra chi esercita la funzione di repressione del reato e il relativo autore, non più visto come responsabile di quanto commesso e quindi necessario destinatario dell’azione repressiva e sanzionatoria, ma come nemico da annientare. La terza parola riguarda il rischio di implicita impunità che può nascondersi dietro un male interpretato spirito di appartenenza a un Corpo, non più visto come espressione dei suoi valori, ma come velo difensivo anche di chi tali valori ha offeso”.
Il Garante nazionale “ha preso atto, con soddisfazione e certamente senza stupore, della volontà di tutti i vertici delle Forze di Polizia di proseguire nella collaborazione, ragionando insieme su come rafforzare gli esistenti protocolli di intesa stipulati già nel passato con il Garante, nell’ottica della costruzione di una cultura che a ogni livello sviluppi e dia concretezza a quei valori di cui ciascuna Forza è portatrice. La Costituzione del proprio Corpo come parte civile in processi che si potranno tenere per gli episodi oggi oggetto di cronaca – così come già fatto dall’Arma dei Carabinieri in un processo in corso – sarà, a parere del Garante nazionale, un elemento tangibile di volontà in tale direzione e darà concretezza a quell’impegno di cui la partecipazione del Garante nazionale alla formazione è espressione”.

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