Meloni rivendica successi inesistenti, critica l’antifascismo e vede la violenza solo a sinistra

In un’intervista esclusiva rilasciata il 2 maggio 2025 all’agenzia Adnkronos, la presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni ha offerto un autoritratto della sua leadership

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2 Maggio 2025 - 16.52


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In un’intervista esclusiva rilasciata il 2 maggio 2025 all’agenzia Adnkronos, la presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni ha offerto un autoritratto della sua leadership, celebrando la stabilità del suo governo e delineando ambizioni per il 2027. Con il suo consueto stile diretto, ha toccato temi che spaziano dalla natalità alla politica estera, dai rapporti con Donald Trump e Keir Starmer agli attacchi personali subiti. Tuttavia, da una prospettiva progressista, le sue parole sollevano serie perplessità: i successi economici che proclama appaiono smentiti dai dati, la sua critica all’antifascismo tradisce un’ambiguità irrisolta con il passato del suo partito, e la tendenza a imputare la violenza politica esclusivamente alla sinistra rivela una visione più da ex dirigente missina che da premier di una democrazia moderna. Pur riconoscendo la sua tenacia, questo articolo esamina criticamente, ma senza polemiche, tre nodi problematici emersi dall’intervista.

Successi economici proclamati, ma i numeri raccontano un’altra storia

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Meloni ha aperto l’intervista con un tono ottimista, definendo il suo governo, insediatosi nell’ottobre 2022, “il quinto più longevo della storia repubblicana”. “Se penso a quello che ancora vogliamo realizzare, ragiono come se avessimo appena iniziato”, ha dichiarato, sottolineando come la stabilità abbia “aumentato la considerazione per l’Italia” e riportato “fiducia e orgoglio” tra gli italiani. Ha citato il miglioramento dell’occupazione e il contrasto all’immigrazione irregolare come traguardi, con un’enfasi particolare sulla natalità come sfida futura: “Vorrei poter ottenere sulla natalità gli stessi straordinari risultati che abbiamo ottenuto sul fronte dell’occupazione e su quello del contrasto all’immigrazione irregolare”.

Tuttavia, i dati economici contraddicono questa narrazione trionfale. L’Italia fatica con un debito pubblico al 140% del PIL, una crescita economica anemica (0,7% nel 2024, secondo il Fondo Monetario Internazionale) e una disoccupazione giovanile che, pur ridotta, resta sopra il 20%. Le politiche sulla natalità – come incentivi fiscali e risorse per gli asili nido – non hanno invertito il declino demografico, con un tasso di natalità fermo a 6,7 nascite per 1.000 abitanti. Sul fronte migratorio, la riduzione degli arrivi (da 160.000 nel 2022 a circa 40.000 nel 2024) è stata ottenuta con misure dure, criticate da organizzazioni per i diritti umani per la mancanza di un piano di integrazione. Rivendicare “straordinari risultati” sembra quindi un’esagerazione, che rischia di mascherare le difficoltà di un Paese alle prese con inflazione e caro vita.

Antifascismo: una critica ambigua che non rompe con il passato

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Meloni ha affrontato il tema dell’antifascismo, opponendosi al suo “utilizzo strumentale” per dividere gli italiani. “No a utilizzo strumentale dell’antifascismo”, ha detto, suggerendo che tale valore venga sfruttato per scopi politici anziché per unire la nazione. Questa posizione, però, appare sfuggente e non dissipa i dubbi sulle sue radici ideologiche. Fratelli d’Italia, il partito che guida, ha origini nel Movimento Sociale Italiano (MSI), fondato da ex fascisti, e Meloni stessa ha militato nella sua gioventù. Sebbene abbia preso le distanze dal fascismo storico, non ha mai compiuto un gesto chiaro di rottura, come una condanna esplicita delle nostalgie fasciste che persistono in Italia.

Questa ambiguità è tanto più preoccupante considerando le parate neofasciste, come quelle a Predappio, e i saluti romani in eventi pubblici, spesso minimizzati o ignorati. Nell’intervista, Meloni non fa riferimento a questi fenomeni, preferendo criticare l’uso politico dell’antifascismo. Una leader che aspiri a rappresentare tutti gli italiani dovrebbe invece riaffermare con forza i principi della Costituzione antifascista, senza lasciare spazio a interpretazioni che potrebbero compiacere una base nostalgica. La sua reticenza a tagliare il cordone ombelicale con l’MSI alimenta divisioni, anziché promuovere coesione.

Violenza politica: una narrazione che guarda solo a sinistra

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Uno dei momenti più controversi dell’intervista è la riflessione di Meloni sugli attacchi personali subiti, descritti come “strategie di banale character assassination”. “Pur di colpire me e questo governo, alcune persone senza scrupoli non hanno avuto alcuna remora a mettere in mezzo la mia famiglia”, ha detto, denunciando “attacchi sessisti vergognosi” e il dossieraggio, di cui si considera “la persona più dossierata d’Italia”. Tuttavia, ha aggiunto un’osservazione che tradisce una visione parziale: implicitamente, attribuisce i pericoli di violenza politica alla sinistra, ignorando il riemergere di simboli e atti neofascisti.

Questa narrazione è problematica. Episodi come le commemorazioni fasciste o i saluti romani in occasioni pubbliche dimostrano che le tensioni politiche non provengono solo da una parte. Attribuire la violenza esclusivamente alla sinistra non è solo riduttivo, ma sembra riflettere una sensibilità più vicina a quella di un’ex dirigente missina che a quella di una premier. Una leader nazionale dovrebbe condannare ogni forma di estremismo, promuovendo un dialogo che unisca il Paese. Invece, Meloni sceglie una retorica che polarizza, rischiando di esacerbare le divisioni in un momento in cui l’Italia ha bisogno di coesione.

Politica estera e riforme: tra pragmatismo e divisioni

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In politica estera, Meloni si è detta pronta a collaborare con Donald Trump, definendo il suo “America First” prevedibile (“Soltanto gli ingenui si sorprendono quando in politica estera una nazione difende i propri interessi”), e con Keir Starmer, descritto come “un premier pragmatico”. Ha promesso una risposta europea coordinata ai dazi americani per “scongiurare una guerra commerciale”. Tuttavia, questo pragmatismo appare più opportunistico che strategico, soprattutto considerando le sue posizioni euroscettiche passate. La collaborazione con governi di sinistra, come quello britannico, sembra dettata dalla necessità piuttosto che da una visione condivisa.

Sul piano interno, Meloni ha difeso il premierato, sostenendo che “rafforza la democrazia” con maggiore stabilità, e ha ribadito l’impegno per il Ponte sullo Stretto, pur riconoscendo “quante difficoltà comporti”. Entrambi i progetti sono divisivi: il premierato è accusato di accentrare il potere, mentre il Ponte è visto come un’opera costosa e di dubbia utilità. La sua determinazione a perseguirli senza un ampio consenso rischia di alimentare tensioni sociali.

Una leadership resiliente, ma inadeguata alle sfide

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Meloni si presenta come una leader tenace, capace di resistere agli attacchi e di guidare un governo stabile. “Non penso mai di aver fatto abbastanza”, ha confessato, mostrando un’etica del lavoro che merita riconoscimento. Tuttavia, l’intervista evidenzia i limiti di una visione ancorata a una destra nazionalista, che fatica a incarnare i valori progressisti della Repubblica. I successi economici che rivendica sono smentiti dai dati, la sua critica all’antifascismo lascia ombre sul passato, e la sua narrazione sulla violenza politica è divisiva.

Per affrontare le sfide dell’Italia – dal declino demografico alla transizione ecologica, dalla coesione europea alla lotta agli estremismi – serve una leadership che unisca, non che polarizzi. Meloni ha dimostrato di saper navigare le tempeste, ma per lasciare un’eredità positiva dovrà superare la retorica della destra missina e abbracciare un progetto inclusivo. Come lei stessa ha detto, il giudizio spetterà agli elettori: “Ve lo avevamo promesso, lo abbiamo fatto”. A metà mandato, però, il “fatto” sembra ancora lontano dalle aspettative di un Paese che chiede progresso, non divisioni.


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