Referendum e astensionismo: la democrazia italiana è malata di rappresentanza

Il referendum è uno strumento di partecipazione popolare al potere legislativo. L’art. 75 della Costituzione prevede il referendum costituzionale e quello abrogativo.

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8 Giugno 2025 - 00.18


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di Antonio Salvati

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I referendum sono una buona occasione per valutare lo stato di salute della democrazia in Italia.

Il referendum è uno strumento di partecipazione popolare al potere legislativo. L’art. 75 della Costituzione prevede il referendum costituzionale e quello abrogativo. Quello abrogativo, in cui si sceglie se cancellare o meno una norma o una sua parte, per essere valido deve vedere la partecipazione attiva di almeno la maggioranza assoluta degli aventi diritto al voto.

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In pratica, i cittadini per rappresentare la propria volontà di modificare una norma devono superare lo sbarramento del 50%. E’ un’indicazione comprensibile che cerca di contemperare le giuste aspirazioni di chi si impegna a partecipare alla vita pubblica, con l’opportunità di non conferire troppo potere alle minoranze.

Oggi però, il momento storico è molto diverso. Al momento della nascita della Repubblica la partecipazione al voto era massiccia, favorita anche da un’interpretazione restrittiva dell’art. 48 della Costituzione che definisce il voto “dovere civico”. Si recavano alle urne oltre l’80% degli elettori italiani, con picchi superiori al 90%. Se si considera, ad esempio, la partecipazione alle elezioni politiche, nel 1972 e nel 1976 hanno votato il 93% degli aventi diritto. Nel 1992 l’affluenza era già scesa all’86%, nel 2001 all’81%. Nelle ultime tre tornate elettorali la diminuzione è stata molto più marcata: 2013 75%, 2018 72% e 2022 64%: il minimo storico!

Per i referendum, negli anni recenti in diversi casi non è stato raggiunto il quorum anche perché ora un partito, ora l’altro, hanno invitato a non recarsi alle urne. E’ un atteggiamento profondamente antidemocratico. Non votare in occasione dei referendum significa disinteressarsi alla vita politica del paese. Soprattutto, il quorum ha come effetto che ogni cittadino che non vota rende vana l’azione di chi si reca alle urne. Il voto, infatti, è valido solo se si recano alle urne il 50% +1 degli aventi diritto. Se, per ipotesi, si recasse al voto l’esatta metà del corpo elettorale, il referendum non sarebbe valido con il risultato che il 50% che è rimasto a casa ha reso inutile l’impegno del 50% che si è recato a votare. E’ un esempio estremo che però consente di comprendere come il non voto sia molto peggio del voto contrario. Chi vota NO, infatti, accetta di confrontarsi democraticamente con chi ha un’idea diversa dalla sua. Chi non si reca a votare boicotta la libera manifestazione delle proprie opinioni, impedisce che uno strumento costituzionale sia efficace. È il rifiuto del confronto per avvalersi di una posizione di forza derivante dallo sbarramento altissimo imposto dalla norma.

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Nel caso dell’Italia, poi, l’invito a non recarsi al voto nei decenni è provenuto da diversi partiti che, quasi sempre, hanno anche beneficiato dell’ambiguità. Da un lato, infatti, non votare significa non esprimere un’opinione di cui dover rendere conto. È purtroppo esperienza comune che gli esponenti politici sostengano, in momenti diversi, opinioni completamente opposte. Chi non vota, insomma, può poi rivendicare comodamente di essere a favore o contro a seconda della situazione. Dall’altro, chi invita al non voto spesso si attribuisce il sostegno di chi rinuncia a recarsi alle urne, trasformando in maniera truffaldina un atto antidemocratico in una manifestazione di consenso.

L’altro momento topico nella vita di un paese democratico sono le elezioni politiche. In questo caso non è previsto nessun quorum e il motivo è abbastanza ovvio: ci sarebbe il rischio per il paese di restare privo di una guida.

Negli anni si sono susseguite una serie di leggi e proposte elettorali che hanno introdotto sbarramenti, premi di maggioranza e ridotto il numero dei parlamentari che è attualmente di 600 (400 deputati e 200 senatori). Ebbene se si considerano le ultime elezioni, vinte dalla coalizione di centro-destra con il 44% delle preferenze, a questa sono stati assegnati il 58% degli scranni presenti nei due rami del Parlamento. In pratica, da una maggioranza relativa (44%) si è passati alla maggioranza assoluta (58%).

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Se però si considera il numero dei votanti, poco meno del 64% degli aventi diritto, hanno votato per la coalizione di centro-destra il 28% degli elettori. Il restante 72% o non ha votato o ha votato per qualcun altro. Comunque sia, in Italia anche il voto di un italiano su 4 è sufficiente per dichiarare di avere ricevuto un’investitura popolare in virtù della quale si rappresenta tutto il popolo (incluso il 72% che ha scelto altro).

È evidente che la democrazia in Italia sia veramente in un cattivo stato di salute. Infatti:

•          la pratica degli istituti di democrazia diretta è scoraggiata

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•          è possibile che una minoranza detenga la maggioranza assoluta in parlamento pur non rappresentando nemmeno la maggioranza relativa degli elettori

•          il Parlamento è costituito semplicemente in funzione di organo che assicura il consenso al governo, invece che espressione del potere legislativo.

L’ultimo aspetto è particolarmente preoccupante. In origine il Parlamento riuniva tutte le forze politiche ed era, dunque, l’alveo naturale per la riflessione, il confronto, la composizione dei diversi interessi. Questo consentiva di avere delle leggi sicuramente imperfette, ma raramente frettolose o faziose. Da molto tempo, oramai, il Governo è divenuto organo esecutivo e legiferante. Il Parlamento, come nel caso del recente decreto sicurezza, si limita a ratificare i decreti e a convertirli in legge. Anche la fiducia è un meccanismo abusato per ottenere che nulla possa essere cambiato dei provvedimenti governativi, così come il sotterfugio di proporre disegni di legge composti da un solo articolo e centinaia di commi, in maniera da impedire gli emendamenti.

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Per la Repubblica Italiana questo periodo è, forse, quello in cui maggiormente si assiste ad una contrazione degli strumenti democratici, a svantaggio della partecipazione attiva dei cittadini, e a vantaggio di lobby e partiti che riescono ad accaparrarsi quote enormi di potere pur avendo una rappresentatività modesta. Sempre considerando il caso delle ultime elezioni, il 44% dei votanti (pari al 28% del totale degli elettori) non esprimevano nemmeno un partito, ma erano frutto di una coalizione che, pur gravitando all’interno dello schieramento conservatore, esprime posizioni talvolta estremamente diverse.

La democrazia, in Italia, ha bisogno di essere rivitalizzata. Questo può avvenire solo con leggi elettorali più eque e con un esercizio consapevole della cittadinanza attiva.

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