Una relazione riservata della Corte di Cassazione getta nuove ombre sul Protocollo Italia-Albania firmato nel novembre 2023, che prevede il trattenimento e la gestione di migranti in strutture costruite e gestite dall’Italia, ma situate in territorio albanese. Il documento, redatto dall’Ufficio del massimario e del ruolo della Suprema Corte — di cui il manifesto ha dato notizia — entra nel merito delle gravi criticità dell’accordo, definendole potenzialmente incompatibili con la Costituzione italiana, con il diritto internazionale e con quello dell’Unione europea.
Il cuore della questione riguarda il trasferimento di migranti irregolari e richiedenti asilo in Albania, un Paese terzo rispetto all’Unione europea. Secondo la relazione, ciò solleva interrogativi sul rispetto del principio di non-refoulement, sulla tutela dei diritti fondamentali e sulla conformità alle direttive europee in materia di asilo e rimpatri. Non è un caso che il 29 maggio la Corte di Cassazione abbia deciso di rivolgersi direttamente alla Corte di giustizia dell’Unione europea con due quesiti pregiudiziali: il primo sulla compatibilità del protocollo con la direttiva rimpatri (2008/115/CE), il secondo sulla conformità alla direttiva procedure d’asilo (2013/32/UE).
Ma le perplessità non si fermano al diritto europeo. Sul piano costituzionale, la Cassazione richiama vari profili critici. In primo luogo, si segnala una violazione del principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione, poiché i migranti trattenuti in Albania subirebbero un trattamento diverso — e meno garantito — rispetto a quelli presenti in territorio italiano. Si ipotizza inoltre un conflitto con l’articolo 10, che tutela il diritto d’asilo secondo le norme del diritto internazionale, e con l’articolo 13, che stabilisce l’inviolabilità della libertà personale.
Particolarmente grave, secondo i magistrati, è anche il possibile indebolimento del diritto alla difesa (articolo 24). Il protocollo prevede infatti la possibilità che le udienze di convalida dei trattenimenti si tengano da remoto, con collegamenti video tra l’Italia e l’Albania, e stabilisce termini estremamente ristretti — solo sette giorni — per impugnare i provvedimenti, con evidenti rischi per l’effettività del ricorso.
Infine, la relazione critica anche la mancanza di trasparenza e di criteri oggettivi nella selezione dei migranti da trasferire. Il rischio è che le decisioni avvengano in modo arbitrario, senza garanzie di imparzialità né possibilità di verifica da parte del giudice.
Si tratta, va precisato, di un documento interno destinato ai magistrati della Cassazione per orientare le decisioni future, e non di una sentenza. Tuttavia, l’autorevolezza della fonte e la chiarezza delle critiche conferiscono alla relazione un peso politico e giuridico rilevante, tanto più in vista del possibile giudizio della Corte di giustizia dell’UE.
L’accordo con l’Albania, salutato dal governo Meloni come un modello di “gestione esterna dei flussi migratori”, si ritrova ora sotto il fuoco incrociato non solo delle opposizioni e delle associazioni per i diritti umani, ma anche del vertice della magistratura italiana.