Nessuno osi più dire che quella di Bologna non fu una strage fascista: la verità storica e giudiziaria è definitiva
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Nessuno osi più dire che quella di Bologna non fu una strage fascista: la verità storica e giudiziaria è definitiva

L’obiettivo era chiaramente eversivo: destabilizzare l’Italia con il terrore per tenere lontani i comunisti dal potere e assicurare governi più autoritari e graditi all’Amico Americano

Nessuno osi più dire che quella di Bologna non fu una strage fascista: la verità storica e giudiziaria è definitiva
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Claudio Visani Modifica articolo

1 Luglio 2025 - 17.04


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“Sappiamo la verità e abbiamo le prove”, avevano scritto i familiari delle vittime nel manifesto per il 44esimo anniversario della strage del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna. Una certezza che derivava dagli esiti delle nuove indagini partite dal biglietto “Bologna 525779–X.S” ritrovato tra le carte di Licio Gelli – che prova i flussi di denaro della loggia massonica P2 ai terroristi neri per finanziare l’attentato – e dagli ultimi processi a carico dei fascisti Gilberto Cavallini e Paolo Bellini. Ora, con la conferma di oggi in Cassazione della condanna all’ergastolo di Bellini, tutte le sentenze sono passate in giudicato. Quindi c’è anche la verità giudiziaria definitiva sui mandanti, gli organizzatori e gli autori materiali della più efferata delle stragi fascista: 85 morti e più di duecento feriti.



La verità giudiziaria, tanto inseguita dai familiari delle vittime, dice che a progettare e realizzare quello spaventoso attentato non furono solo i terroristi dei Nar Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini (condannati in via definitiva ma già da anni in libertà), bensì tutte le formazioni dell’estrema destra eversiva dell’epoca, finanziate dai soldi distratti dal Banco Ambrosiano da Licio Gelli e Umberto Ortolani e coperte dai servizi segreti deviati, con il contributo del capo degli ufficio Affari Riservati del Viminale, Federico Umberto D’Amato e del giornalista Mario Tedeschi. Una verità che in un paese normale dovrebbe spingere la premier Meloni e i suoi camerati – che in tutti questi anni hanno portato avanti una indecente campagna innocentista per Fioravanti e Mambro “vittime delle toghe rosse” e alimentato fantomatiche e inesistenti “piste alternative” – a venire a Bologna il prossimo 2 agosto per chiedere scusa alle famiglie delle vittime e pronunciare finalmente la parola “strage fascista”. Ma state certi che non accadrà.



Ma se fino a ieri poteva ancora valere la famosa frase di Pier Paolo Pasolini sulle stragi fasciste, “io so ma non ho le prove”, da ora in poi nessuno potrà più negare la verità giudiziaria, oltre a quella storico politica che ormai da decenni è senso comune tra i bolognesi e gli italiani.

Paolo Bellini è quindi il “quinto uomo” della strage, esecutore materiale in concorso con Giusva Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini e Gilberto Cavallini. E Licio Gelli, assieme a Federico Umberto D’Amato, Mario Tedeschi e Umberto Ortolani, sono stati i mandanti, i finanziatori e gli organizzatori della strage. Gelli, tramite i servizi segreti deviati e da lui dipendenti, finanziò e attuò la strage, servendosi come esecutori di esponenti della destra eversiva.

L’obiettivo era chiaramente eversivo: destabilizzare l’Italia con il terrore per tenere lontani i comunisti dal potere e assicurare governi più autoritari e graditi all’Amico Americano lungo la strada della “strategia della tensione” che aveva già insanguinato l’Italia e portato al rapimento e all’assassinio di Aldo Aldo Moro. 

La traccia dei finanziamenti è stata ricostruita grazie al biglietto trovato addosso a Licio Gelli al momento del suo arresto a Ginevra nel 1981. Il foglio riporta sul frontespizio la scritta “Bologna 525779 –X.S.” ed elenca nomi, date e importi di una lunga serie di transazioni. Per anni chi indagava sulla strage si era perso, o aveva volutamente trascurato i particolari di quel documento. Fino a quando, nel 2018, la Procura generale e la Guardia di finanza di Bologna hanno ripreso le indagini e seguendo le tracce di quei soldi sono riusciti a decrittare i nomi cifrati e a ricostruire il giro di quasi 15 milioni di dollari che Gelli aveva su conti offshore e che in parte fece arrivare in contanti nelle mani dei terroristi pochi giorni prima della strage di Bologna. Fascisti, terroristi e perfino prezzolati, dunque. 

Licio Gelli, secondo i giudici, era “il consapevole finanziatore della strage”. E tale circostanza “spiega il movente dell’attività calunniosa e depistatoria da lui posta in essere, unitamente ad alti funzionari dello Stato”: il potente capo dell’Ufficio Affari Riservati del Viminale Federico Umberto D’Amato, l’imprenditore Umberto Ortolani e il giornalista Mario Tedeschi, tutti morti ma ritenuti i mandanti, finanziatori e organizzatori dell’attentato.

Per quanto riguarda invece Paolo Bellini, la Corte di Cassazione ha confermato quanto aveva stabilito il processo di appello, e cioè che egli “era senza ombra di dubbio alcuno” tra le persone del commando terroristico che eseguì materialmente la strage della stazione di Bologna il 2 agosto 1980. E che la sua presenza in stazione “era finalizzata o a trasportare, consegnare e collocare quantomeno parte dell’esplosivo”, oppure “a fornire un supporto materiale all’azione nella piena consapevolezza” che nella sala di aspetto della Stazione sarebbe stata collocata la bomba. 

L’alibi del 72enne ex terrorista di Avanguardia nazionale era stato smontato dall’ex moglie, che lo aveva anche riconosciuto in un video amatoriale girato da un turista straniero alla stazione di Bologna la mattina dell’esplosione. Il video e il riconoscimento dell’ex moglie, per i giudici “sono la prova che Bellini era alla stazione di Bologna pochi minuti prima e pochi minuti dopo la micidiale esplosione”.

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