Oltre 20mila persone al festival di Emergency: Gaza, Afghanistan e Sudan al centro delle testimonianze
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Oltre 20mila persone al festival di Emergency: Gaza, Afghanistan e Sudan al centro delle testimonianze

Piazze gremite per ciascuno degli oltre 50 eventi del festival di Emergency che si è tenuto lo scorso week end a Reggio Emilia. Sono state più di 20.000 le persone che hanno ascoltato “La Voce” di chi opera in contesti di guerra

Oltre 20mila persone al festival di Emergency: Gaza, Afghanistan e Sudan al centro delle testimonianze
Il festival di Emergency
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Chiara D'Ambros Modifica articolo

8 Settembre 2025 - 23.13


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Piazze gremite per ciascuno degli oltre 50 eventi del festival di Emergency che si è tenuto lo scorso week end a Reggio Emilia. Sono state più di 20.000 le persone che hanno ascoltato “La Voce” di chi opera in contesti di guerra, artisti e artiste, giornalisti e giornaliste, scrittori.

Ogni incontro ha aperto una finestra su realtà diverse in conflitto lontane ma così vicine perché tutte investono e travolgono vite e umanità. Al centro di molti racconti e riflessioni l’immane tragedia in corso a Gaza ma non solo. La voce di Raffaella Baiocchi, ginecologa che lavora con Emergency da oltre 15 anni, ha raccontato dello stupore di trovare a Gaza tanta professionalità e preparazione da parte dei colleghi, di aver visto tante le donne in gravidanza nonostante il contesto che difficilmente permette intimità e speranza, ma la vita sembra comunque essere più forte di tutto e nonostante tutto. Mentre dall’altra parte del mondo in Afghanistan alcune delle realtà sanitarie che Emergency era riuscita a creare sono in pericolo per il divieto di studio imposto dal governo Talebano alle ragazze. Questo, infatti, impedirà di formare nuove ostetriche e ginecologhe. Come si nascerà in Afghanistan, dove solo le donne possono prendersi cura di altre donne, se si impedisce loro di istruirsi?

Grandi applausi da pubblico durante il collegamento con parte dell’equipaggio della Life support che negli ultimi due anni ha salvato in mare oltre 3000 persone, sottraendole al fondo del Mediterraneo dove giacciono più di 30mila vittime. Life support che è pronta per partire a sostegno della Gloibal Sumund Flottiglia.

Tra le voci degli operatori anche figure non sanitarie che si occupano del il lavoro di organizzazione e logistica. Pietro Parrino ha spiegato l’approccio con cui Emergency da corpo a un progetto, l’atteggiamento è sempre stato ed è quello di “Non fare quello che si può ma quello che si deve”. Questo comporta una attenta valutazione della situazione dove un progetto prende corpo e il promettere alle popolazioni che si vanno a supportare solo ciò che si è in grado di portare a termine senza scuse e con la massima professionalità che si deve portare o formare molto spesso perché nei teatri di guerra mancano quelle locali, che sono scappate: “Quanto ci metteranno i 16mila siriani che sono ora in Germania?”, chiede Parrino. In un paese in guerra ci si deve occupare non solo delle vittime della stessa ma anche di tutti gli effetti collaterali che comporta. 

Si muovono così tutti gli operatori che si occupano di coordinazione e logistica: osservazione, studio e consapevolezza del contesto in cui si opera, a 360°.

 “A Gaza manca tutto oltre al cibo manca tutto per l’igiene, combustibile, pezzi di ricambio per qualsiasi cosa. Le persone faticano a trovare scarpe e vi assicuro che può essere un grande problema in un posto in cui devi spostarti di continuo per trovare cibo o perché le ripetute evacuazioni e ci si deve muovere tra i detriti di strade e palazzi distrutti”, osserva  Alessandro Migliorati, capoprogetto Emergency, e aggiunge che attualmente con gli ultimi ordini di evacuazione, 1 milione di persone dovrebbe ammassarsi in un’area grande come il comune di Cremona.

Purtroppo, non solo a Gaza si soffre e muore, sono oltre 50 i conflitti in corso. In Sudan nel 2023 allo scoppio della guerra a Kartun le persone sono state trovare morte nelle case dopo mesi, tutti quelli che avevano bisogno di cure per malattie corniche curabili in tempo di pace, per esempio chi aveva bisogno di dialisi, sono morti tutti. Emergency è stata l’unica organizzazione umanitaria a restare tra mille difficoltà come ha raccontato Giovanni Tozzi, coordinatore e logista dell’area: “Attualmente in questo contesto è difficile anche solo arrivare al nostro ospedale che si trova a pochi chilometri dal fronte, ma siamo l’unica struttura sanitaria rimasta, se ce ne andiamo noi nessuno si può curare”.

Non possono uscire dal paese i Gazawi, molti non vogliono, tra questi tanti sono giornalisti che restana come ha detto Suruq Asad, giornalista Palestinese ospite nella prima giornata del festival: “Sono i nostri occhi, i nostri sensi e raccontano a costo della loro vita, sono stati uccisi in 246 dall’inizio della guerra”. Con alcuni di questi colleghi Suruq è cresciuta ed è in constante contatto ma non sa mai se li risentirà domani, tra un’ora. Uno dei colleghi che non c’è più si occupava di riprendere con il drone Gaza dall’alto, ora che non c’è più nessuno vuole più farlo, anche chi è stato formato da lui, perché hanno paura. La stampa internazionale non più entrare a raccontare quello che succede nella striscia, gli unici testimoni sono i locali e gli operatori umanitari. 

Quando sono uscita dalla striscia l’ultima volta poco prima del confine – racconta Raffaella Baiocchi – tra qualche sacco di riso e farina caduto dai pochi camion con il cibo che possono entrare, ho visto un cadavere. I più disperati si spingono fino a qui, in una zona interdetta, dove se ti avvicini senza autorizzazione sparano. Il corpo giaceva lì e a nessuno era consentito recuperarlo, gli unici a potersi avvicinare erano i cani randagi. 

In questa tre giorni non è mancata la voce dei giovani, che sono la voce più dirompente rispetto alla questione del cambiamento climatico. La cantante e contrabbassista “Lotta” con un’energia dirompente ha dichiarato di fare musica “perché voglio stare bene e ballare dentro la catastrofe. Ognuno che ama fare una cosa, si chieda “come posso farla in maniera etica e sostenibile”. È difficile perché viviamo in un sistema tossico ma si può, il l’ho visto”.

Tra le voci più note presente quella di Paola Caridi a riflettere sul peso delle parole, di quanto il linguaggio definisca la realtà rivendicando l’utilizzo della parola “genocidio” per quanto sta accadendo a Gaza perché questa parola ha un peso specifico rispetto al diritto internazionale. Tommaso Montanari a richiamare alla propria responsabilità in un momento così grave per l’umanità tutta perché ciò che sta succedendo riguarda tutti. Paul Ray giornalista e documentarista canadese come pure Laetitia Sedou della ENAAT (la rete europea contro il riarmo) seppur da punti di vista differenti hanno puntato il faro sulla logica della costruzione del nemico, della diffusine della paura per giustificare la vertiginosa e pericolosa corsa agli armamenti. 

“La voce” di ognuno degli ospiti, e talvolta gli interventi del pubblico, ha permesso di guardare dentro tante realtà dure e difficili ma che esistono e di cui Emergency si prende cura e di cui ognuno si può prendere cura partecipando. Questi tre giorni di festival che hanno sottolineato come la voce di ognuno possa fare la differenza, ancor di più se condivisa.

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