Giornali e Tv parlano incessantemente di “Sistema Pavia”, chissà perché insistendo sul delitto di Garlasco, che poco c’entra, e invece marginalizzando l’arresto per corruzione, nel novembre 2024, del maggiore dei carabinieri Giuseppe Pappalardo – l’ex comandante del nucleo informativo del reparto operativo di Pavia, ora in pensione – e del collega maresciallo Antonio Scoppetta, sino a ieri componente del nucleo di polizia giudiziaria (è l’indagine Clean 2; nel frattempo Scoppetta ha subìto la condanna a 4 anni e 6 mesi in rito abbreviato).
Ma di che si tratta? Il marcio è solo in piazza del Tribunale? No, il “marcio” stava e sta nei vasi comunicanti tra il sistema politico e quello affaristico, soprattutto immobiliare e talvolta mafioso. Un patto di potere, nutrito da favori e regalie, trame che non da ora vertono sull’asservimento di più d’una pubblica amministrazione a taluni privatissimi centri di potere. Con la locale procura a chiudere un occhio e a volte entrambi. E con la Giunta di centrodestra che nel 2022 consegna a Pappalardo il “San Siro”, la massima benemerenza cittadina.
E miope è parso l’ex procuratore aggiunto Mario Venditti (lui sì implicato nel delitto di Garlasco). In alcune foto lo si vede in abito di centurione romano brandire il suo gladio alle feste di Angelo Ciocca, l’ex eurodeputato del Carroccio perno di molti intrallazzi.
E poi le cene conviviali al ristorante Cassinino o al Lino (dal nome dell’omonima piazza con al centro il monumento ai fratelli Cairoli), presente Venditti e con lui signore, politici, imprenditori e carabinieri come Pappalardo e Scoppetta. Stando all’imprenditore edile Carlo Primo Boiocchi (consigliere comunale ed ex candidato sindaco di San Genesio, un comune a due passi da Pavia), Scoppetta «era solito fare da tramite, consegnando dei “pizzini” [vocali] da Venditti a Ciocca e viceversa» un paio di volte la settimana. Tanto che, riferisce il “pentito” Boiocchi, via il magistrato (nel frattempo Venditti aveva assunto la presidenza del casinò di Campione d’Italia) lo stesso Ciocca ebbe a lamentarsi di non avere più le informazioni che a lui servivano «visto che provenivano da Venditti».
Non pago, scrive la giudice pavese Daniela Garlascelli nelle Motivazioni su Scoppetta, «Pur non essendo legati da alcun rapporto di servizio in quanto soggetti destinati a diversi reparti emerge che Scoppetta abbia fornito un flusso di dati confidenziali e riservati a Pappalardo» ovvero soffiate sulle indagini in corso «il quale, contestualmente alle informazioni ricevute su sua richiesta, ha offerto denaro e altre utilità» al collega della Giudiziaria.
All’infedele Scoppetta il consigliere comunale Boiocchi aveva venduto una lussuosa villa (200 metri quadrati di calpestabile con giardino esterno e piscina) a condizioni di estremo favore in cambio, sembra, della protezione dai controlli. E si capisce: quella e altre ville che si affacciano sul Parco della Vernavola erano costruite su terreni agricoli del Boiocchi che il Piano di governo del territorio (Pgt) di San Genesio aveva reso per l’occasione edificabili, nonostante i vincoli paesaggistici. Ville a cui, illecito nell’illecito, era stato aggiunto un piano. Ad ogni buon conto – lo riferisce una super-testimone – «la quasi totalità dei terreni edificabili sia a Pavia sia a San Genesio appartengono a società ricollegabili, direttamente o indirettamente, ai politici».
Insomma, solo adesso vediamo lievitare la permeabilità degli investigatori a certe lusinghe; comportamenti che vanno a sommarsi con la tangenziale colpevole vicinanza tra più d’una pubblica amministrazione e taluni imprenditori e faccendieri del ramo edilizio. Ed è così da decenni, a prescindere dal colore politico. Decenni di sacco cittadino.
Così fan tutti
Come dimenticare quindi, passando a qualche esempio, l’abbattimento nel 2007 della parte monumentale della ex-Snia, quella che corre lungo viale Montegrappa, su disposizione del sindaco di allora, nonostante il vincolo del Piano regolatore (successivamente imposto anche dalla Soprintendenza ai Beni monumentali) e senza il sostegno di perizie asseverate. Per legittimare questo illecito abbattimento sindaco e giunta avevano preso a pretesto le famiglie di zingari rumeni che, poveri cristi, nella storica fabbrica avevano trovato una precaria dimora: «volete che se ne vadano?», dissero, allora bisogna dare gas alle ruspe, non agli zingari.
Ma il vero motivo, come i cinici pubblici amministratori ben sapevano, era dato dall’incompatibilità tra quelle volumetrie e gli intendimenti della proprietà (un noto costruttore “d’area”) che in quello spazio progettava l’ennesimo supermarket, in aggiunta all’incremento di 15mila mq della parte residenziale.
Dopo l’indebito abbattimento la polizia giudiziaria, prontamente chiamata, pose quell’area sotto provvisorio sequestro. Filtrò però la notizia di un singolare invito del procuratore reggente di allora al sindaco (cioè dell’investigatore all’indagato): pensate, il capo della procura avrebbe sollecitato quel primo cittadino a «non farlo più…».
Un altro momento poco edificante della recente storia cittadina lo restituiscono i dubbi comportamenti visti nell’affaire Greenway di via Montemaino, là dove, avvalendosi di prestanome, un noto consigliere comunale sognava di edificare due palazzine e una villettopoli in pieno parco della Vernavola, su terreni di sua proprietà, pilotando pro domo sua le delibere comunali e seducendo numerosi colleghi della maggioranza e dell’opposizione, indotti a votarle. Delibere poi bocciate dal Tar.
Pecunia non olet
Oppure l’affaire Carrefour lungo la Vigentina, l’Iper inaugurato nel dicembre 2007 –variante dopo variante a lavori ormai conclusi – da quel sindaco bardato per l’occasione della fascia tricolore (manco fosse una importante opera pubblica), con la galleria – la vera merce – rivenduta il giorno dopo per 74 milioni di euro a un fondo tedesco in odore di mafia.
E che dire dei terreni agricoli intorno allo stesso ipermercato, quelli per tempo “carpiti” al contadino da una truffaldina cordata di “imprenditori” composta per l’occasione da un ex membro della commissione edile comunale, da un ex assessore al suo bilancio e da un compianto faccendiere esperto in plusvalenze: i tre rilevarono quei terreni agricoli per 120 milioni delle vecchie lire (60mila euro), rivendendoli nel giro di qualche settimana a 830 milioni (più di 400mila euro), s’intende dopo il comunale cambio di destinazione d’uso dell’area.
Ma in questo dare addosso a tutta betoniera alle zolle vergini del crinale urbano, nulla pare più temerario dell’affaire Green Campus al Cravino: terreni acquistati per 1.813.000 euro dal suddetto compianto faccendiere – questa volta in sodalizio con la moglie di un noto, anzi notissimo, docente universitario – e presto rivenduti a Green Campus, previo “magheggio” comunale, per 6.203.200 euro: una plusvalenza superiore a 4 milioni, equivalente al salario annuale di 220 operai.
Quanto al “noto” docente universitario nonché cerimoniere dell’operazione Green (Green Campus… Greenway… sempre e solo “Green”), a lui andrà la direzione di questi lavori: 326 appartamenti “per studenti” – in realtà acquistabili da chiunque – belli pronti e arredati: un business quantificabile in 60 milioni di euro. I responsabili andranno a processo. Tutti assolti.
Il ballo del mattone
È il “sistema Pavia” bellezza, il paradiso per pochi in una città che un tempo dava a molti pane e lavoro: mentre ora ha il primato degli affittacamere, dei depositi bancari pro capite e del gioco d’azzardo, con buona pace per più di 10mila pendolari che ogni giorno vanno e vengono tra Pavia e Milano.
Sin qui di nomi se ne sono fatti pochi (sia mai che a qualcuno venga in mente di far valere il diritto all’oblio…). Ma torniamo per un momento al maresciallo Antonio Scoppetta, quell’investigatore tutto d’un pezzo o prezzo ora in galera per aver premuto sull’immobiliarista di turno. Tempo addietro proprio a lui avevo segnalato che i privati arredi degli appartamenti Green Campus al Cravino erano gli stessi delle 19 “New town” che il “noto” docente universitario, sempre lui, per 809 milioni in pubbliche banconote aveva edificato, e arredato, a l’Aquila dopo il terremoto. Sicuramente nulla di illecito, ma un’occhiatina… «Dammi qui che provvedo io», mi disse Scoppetta. Mai più visto né sentito.
Del resto, come scrive la valente giudice Garlaschelli, è nella «totale deviazione di Scoppetta dalla sua funzione di pubblico ufficiale di polizia giudiziaria dai fini istituzionali piegati a interessi privati» che emerge il “sistema Pavia”.