Nuovo stop al progetto del Ponte sullo Stretto di Messina. La Corte dei conti ha nuovamente negato il visto di legittimità al terzo atto aggiuntivo della convenzione tra il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e la società Stretto di Messina Spa, infliggendo un duro colpo a un’opera che la destra al governo continua a volere a tutti i costi, nonostante le criticità tecniche, finanziarie e procedurali che si accumulano da mesi.
Il verdetto della magistratura contabile arriva dopo settimane di tensioni. Già in occasione del precedente altolà, il governo Meloni — e in particolare il ministro Matteo Salvini, principale sponsor politico del Ponte — aveva risposto attaccando frontalmente la Corte dei conti, accusandola di “invasione di campo”. Una mossa utile più a coprire l’improvvisazione e le lacune dell’esecutivo che a chiarire i dubbi sostanziali che la stessa Corte continuava a sollevare.
Questa volta, però, la decisione è netta. E arriva dai giudici che stanno svolgendo esattamente ciò che la legge impone loro: verificare la legittimità degli atti amministrativi, specie quando riguardano un progetto da oltre 13 miliardi di euro che presenta ancora numerose zone d’ombra.
Il comunicato della Corte dei conti
“La Sezione centrale di controllo di legittimità, all’esito della Camera di consiglio seguita all’adunanza di oggi, 17 novembre 2025, non ha ammesso al visto e alla conseguente registrazione il decreto del 1° agosto 2025, n. 190, del ministero delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il ministero dell’economia e delle finanze, adottato ai sensi dell’articolo 2, comma 8, del decreto-legge 31 marzo 2023, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 maggio 2023, n. 58, recante ‘Disposizioni urgenti per la realizzazione del collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria’. Approvazione III Atto aggiuntivo alla convenzione del 30 dicembre 2003, n. 3077, fra il ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la società Stretto di Messina spa.”
Le motivazioni dettagliate saranno pubblicate entro 30 giorni, ma la sostanza è chiara: la Corte non ritiene che le condizioni giuridiche e procedurali necessarie siano state soddisfatte.
Un progetto che “non sta in piedi”
Non è la prima volta — e probabilmente non sarà l’ultima — che i magistrati contabili frenano una corsa politica che procede più sulla propaganda che sulla solidità tecnica. Il Ponte resta infatti un’opera piena di incognite: costi rivisti più volte, coperture finanziarie incerte, norme riscritte per far quadrare atti e scadenze, dubbi sulla compatibilità ambientale e sismica.
Criticità che il governo non affronta davvero, scegliendo invece la strada dello scontro istituzionale: una strategia che mira a trasformare la Corte dei conti nel capro espiatorio utile a mascherare l’incapacità dell’esecutivo di produrre un progetto serio.
Le prossime mosse
Ora l’esecutivo potrà tentare due strade: correggere le parti contestate — ammettendo implicitamente errori e improvvisazioni — oppure forzare ancora il quadro normativo, come già fatto in passato, nella speranza di superare i rilievi.
In entrambi i casi, resta una certezza: mentre il governo insiste a parlare di “grande opera simbolo”, i giudici contabili continuano semplicemente a svolgere il loro lavoro. E il progetto del Ponte, dopo cinquant’anni di annunci e retromarce, continua a rivelarsi un castello fragile che neppure la propaganda più muscolare riesce a sostenere.
