I democratici sembrano essere tornati a guardare al centro. Criticano l’Ulivo e propongono “confronti” sulle riforme a “tutte le forze di opposizione”. Casini e Fini, per intendersi.
Ha detto ieri il leader democratico alla direzione del partito: “Il prossimo governo avrà la più grande forza riformista del Paese. Non ripercorreremo la strada dell’Unione perché il Paese non ha bisogno di generiche carovane, ma di una rotta decisa e questo significa che ci prenderemo la responsabilità di avviare confronti sul merito delle principali riforme con tutte le forze di opposizione”.
Poi ha aggiunto: “Abbiamo perso amministrazioni per le nostre frantumazioni. Questo non potrà più accadere. Dobbiamo avviare il percorso verso la conferenza sul partito che non sia burocratico, ma aperto e largamente partecipato che coinvolga il territorio, i circoli e la rete. Serve un partito più federale e più nazionale. E’ necessario il rapporto tra amministratori e gruppo dirigente, il ruolo dell’iscritto e il ruolo dell’elettore. Dobbiamo mettere in sicurezza le primarie. E rendere esigibili i codici etici”.
Dopo il voto delle comunali ed i sorprendenti risultati di Milano e Napoli sembra che il Pd non abbia ancora compreso lo stato delle cose. Un’astensione da record e la vittoria di due outsider mostrano con chiarezza come il Paese abbia bisogno di una svolta profonda.
Non solo una trasformazione radicale del modo di fare politica, ma anche l’abbandono delle enunciazioni a vuoto che hanno devastato la credibilità dei partiti. Per chi si oppone al berlusconismo, che probabilmente sopravviverà alla crisi del suo ispiratore, sarà necessario offrire valori e comportamenti concreti e chiari ai cittadini.
Bersani rappresenta una “scuola politica” refrattaria all’innovazione e ieri parlando ai dirigenti del Pd ha di nuovo tirato fuori dal cilindro le parole standard del trasformismo partitocratico: “riformismo”, “partito più federale e più nazionale”, “territorio”, “circoli”, “rete”. Il leader dell’opposizione, poi, ha continuato il corteggiamento al centro.
Il Paese non solo sta vivendo una delle crisi più gravi della sua storia, ma ha anche assunto in tre decenni di bombardamento mediatico berlusconiano un atteggiamento superficiale e dogmatico allo stesso tempo che va sradicato al più presto.
Il segretario democratico non ha spiegato come pensa di mettere insieme chi vuole allargare i diritti civili e chi crede che questi ultimi siano invece limitabili sulla base del credo religioso. Per esempio chi vuole difendere la libertà delle donne e un loro crescente ruolo sociale e chi vuole sopprimere o modificare in modo regressivo la legge sull’interruzione di gravidanza o sul divorzio o chi vuol permettere alla scienza di ricercare e chi opera per fare il contrario o chi cerca di smantellare le organizzazioni criminali legate al narcotraffico liberalizzando l’uso di alcune sostanze e chi si adopera per reprimere i consumatori chiedendo per loro anche il carcere o chi crede nella scuola laica e pubblica e chi difende gli affari delle strutture formative private.
La politica intesa come gioco del Risiko o come “piccolo chimico” ha distrutto il sistema democratico nazionale e non sembra che la cosa sia ancora chiara ai professionisti della politica. I “capi” del Pd nella Direzione di ieri hanno evocato il fantasma del ’93 e del ’94, quando la sinistra vinse le amministrative ma poi perse le elezioni politiche.
A non capire la differenza profonda tra l’Italia di allora e quella di oggi sono stati in parecchi, da Massimo D’Alema a Piero Fassino, Anna Finocchiaro e Giuseppe Fioroni. Tanto che ad un certo punto Rosy Bindi ha ricordato che nel ’93 il Pd non c’era ed “è meglio evitare gli automatismi”.
E l’errore di analisi non si ferma al moderatismo demagogico, ma tocca l’analisi del presente. Tutti nel Pd sono convinti che anche se si è aperta “una fase nuova” nella quale il berlusconismo è alla fine. Ma non è così, perché il Cavaliere è ben più debole dei guasti che ha procurato.
Il più abile nell’inventare soluzioni improbabili è da anni Massimo D’Alema, che non ha visto neppure una delle sue strategie andare a buon fine. Adesso l’ex presidente del consiglio spinge verso il Terzo Polo auspicando “la convergenza di elettori moderati e progressisti” che a suo parere si sarebbe già “largamente realizzata nei ballottaggi, dimostrando che la chimica funziona al di là delle resistenze, delle debolezze e del terzoforzismo dei gruppi dirigenti del Terzo Polo”.
Il progressismo, le riforme strutturali, la ricostruzione di un sentimento nazionale laico e unitario, lo smantellamento dell’ideologia del superfluo e la lotta al razzismo ed alla xenofobia non sono nel dibattito attuale del Pd. E forse è per questo che i democratici sono sempre meno protagonisti della vita italiana.