Roma chiusa per fallimento, l'altro ventennio buio

La vicenda di questi giorni è solo il punto d'arrivo di una crisi più profonda. Nella storia della Capitale il ritratto amaro di una nazione e della sua classe dirigente.

Roma chiusa per fallimento, l'altro ventennio buio
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6 Febbraio 2012 - 09.25


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di Francesco Peloso

Una Capitale fuori dall’Europa. Va detto senza troppa retorica ma con senso di realtà: Roma formalmente è in Europa, è anzi una delle capitali più importanti del continente, ma nei fatti, nel suo governo, nelle forme di vita e di società, nella condizione dei servizi, è da tempo lontana dal livello di civilizzazione raggiunto nelle grandi città e capitali europee. La neve che cade sulla città, in sé un evento bellissimo e perfino poetico, diventa una miserabile dimostrazione di impotenza, di assenza di governo, di tragicomica rassegna delle nostre incapacità. Tanto per capirci: scuole, uffici, negozi restano tutti chiusi come fosse scoppiata un’epidemia sconosciuta, non perché il freddo sia quello di Kiev o di Mosca, o le tubature dei riscaldamenti tutte congelate a causa delle temperature polari. No, il problema è legato semplicemente alla viabilità. Cioè la neve rende definitivamente impraticabile ogni spostamento nella città, già ai limiti dell’impossibile per tutti gli altri giorni dell’anno.

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Pubblico disservizio. Roma non è praticamente dotata di un servizio di trasporto pubblico degno di questo nome: due scarne e affogate linee della metropolitana costruite in 60 anni, autobus imprigionati nel traffico e insufficienti corsie preferenziali che esistono solo sulla carta, un corpo di vigili urbani scomparso – realmente scomparso – da anni dalle strade cittadine. In questo contesto la nevicata è solo il detonatore finale di un quadro da infarto che è semplicemente la vita quotidiana a Roma. Il mezzo privato è infatti l’unico modo conosciuto e barbarico, per spostarsi. Così la storia di questi giorni è in realtà la storia molti più lunga di come la Capitale d’Italia, simbolo del Paese, è stata governata dal dopoguerra a oggi. Niente di più. Tanto che il caos attuale è lo stesso del 1985 quando nevicò compitamente – e probabilmente lo stesso che vi sarebbe stato 10 o 20 anni prima.

Sistema andreottian-sbradelliano. Che poi a suggellare il tutto si trovi un sindaco erede del post-fascismo, capace di chiedere ai cittadini di armarsi di pala per ripulire le strade, è solo una circostanza casuale, un’ironia amara del destino che illumina al meglio il degrado cui siamo arrivati. Si pensi alla presidente della Regione Renata Polverini, non a caso compagna di partito di Alemanno, che ha proposto in tv con il classico sprezzo del ridicolo, di far riaprire le ferramenta affinché i romani e i cittadini della Regione assediati dalla neve potessero comprarsi una pala. I sarcasmi sono a portata di mano: l’esercito di balilla pronto a spalare e via dicendo.

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Populismo e improvvisazione. Cose grottesche, naturalmente, che chiariscono però un punto: la natura antica della destra italiana ha avuto in questi anni un epigono superiore nel Cavaliere, ma la raccogliticcia armata che lo ha seguito in un misto di populismo e di improvvisazione, era il proseguimento – post moderno – di quell’autobiografia della nazione che fu il fascismo secondo la storica definizione di Piero Gobetti. Non a caso Alemanno è diventato sindaco sull’onda di una allucinante campagna per la sicurezza e contro lo straniero per ritrovarsi pochi anni dopo, in una città dove il lento e progressivo dilagare della malavita quale fenomeno corrosivo e concreto figlio della deindustrializzazione di intere regioni meridionali che ha risalito in questi anni la penisola, ha provocato un numero impensabile di omicidi e di morti violente nelle strade della città.

Clientele senza sviluppo. Accanto a ciò il ritorno al clientelismo di massa praticato dal post-fascismo di Alemanno è il richiamo della foresta del sottogoverno andreottian-sbardelliano (contiguo all’Msi di allora) con altri mezzi. E forse una maggior prudenza nelle facili e acritiche riabilitazioni della Dc, in questo senso, sarebbe utile. Infine il terzo elemento classico di questa vicenda è l’abbandono di ogni idea di sviluppo e innovazione economica che non fosse legata alla speculazione edilizia.

Il cemento degli speculatori e dei politici. Sotto questo profilo, va detto, le amministrazioni di centrosinistra non sono state troppo diverse da quelle della destra. Roma è crescita per decenni all’insegna di un abusivismo sfrenato che non è mai stato interrotto. Meriti storci delle giunte guidate prima dal Partito comunista, poi dai Ds e dal centrosinistra, sono stati l’eliminazione dei borghetti, le storiche baraccopoli romane, la rinascita culturale della città (prima nella fase degli assessorati di Renato Nicolini, poi con la vicepresidenza Veltroni nel governo Prodi e infine con la nascita dell’Auditorium e di altri musei nelle amministrazioni più recenti), e ancora la diffusione di un po’ di civilizzazione nella vita collettiva.

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L’altra Europa a confronto. Tuttavia rovesciare sul territorio un’enorme, sconclusionata valanga di cemento come unica strada possibile per lo sviluppo, è stato un tratto comune dominante di ogni alleanza politica che ha portato, non a caso, il consenso dei vincitori alle stelle. E però i cittadini romani che negli ultimi decenni hanno visitato l’Europa, si sono accorti con sorpresa e profonda amarezza che da Monaco a Barcellona, da Londra a Berlino a Parigi, gli standard della vita collettiva sono altri: si sono resi conto che la favola dei lavori della metropolitana destinati a durare trent’anni, è vera solo nella loro città, altrove per una nuova linea ne bastano due o tre senza levitazione degli appalti, imbrogli, furti delle risorse pubbliche.

Un futuro possibile e la nostra solitudine. Il problema resta: è quello di costruire un’alleanza sociale e politica che non punta a vincere facile (scegliendo quindi di rinunciare all’alleanza fondata sulla prepotenza con i gruppi economici più forti) per governare ‘comunque’: ci sono opere pubbliche importanti da fare a Roma – i trasporti innanzitutto ma non solo – con gare d’appalto pulite che facciano risparmiare il denaro pubblico creando servizi e lavoro in virtù di una concorrenza vera e di una trasparenza non corrotta dalle tangenti. Ma poi c’è tutta una cultura del sotterfugio, del sopruso, dell’inganno praticata nelle istituzioni pubbliche e nel mondo imprenditoriale che andrà duramente smantellata. “E’ un buoi ventennio” quello che ci siamo lasciati alle spalle ha scritto in questi gironi un giornalista come Vittorio Emiliani. Vero. E quello che accade a Roma è sintomatico della vita dell’intera nazione. La possibile fine del berlusconismo ci ricongiunge, sotto il profilo culturale e dei caratteri del Paese, a quell’altro ventennio oscuro.

Solitudine sociale e culturale. L’urlo stentoreo di Alemanno contro la protezione civile assomiglia ad altre querule voci contro “il comunismo” “i negri”, lo “Stato”, “l’Europa” e chissà cos’altro ancora, che abbiamo sentito in questi anni. E antieuropea, buffonesca, machista, provinciale, razzista, falsamente guerriera, era l’Italia di quell’altro ventennio. Nel frattempo, certo, tutto è cambiato ma niente è cambiato e in qualche modo è in questa continuità che si coltiva la rassegnazione di un popolo, quello di Roma in primo luogo ma non solo. La crisi delle classi dirigenti è dunque la crisi del Paese e l’inverno dal quale dobbiamo uscire è quello di una solitudine sociale e culturale che ci ha travolti in un profluvio di arroganze e di conformismi

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