Chiesa, cade il muro dei silenzi sugli abusi sessuali

Cade il tabù e la stampa italiana finalmente racconta nelle pagine nazionali e nei tg la storia di un prete accusato di molestare una bambina. [Francesco Peloso]

Chiesa, cade il muro dei silenzi sugli abusi sessuali
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15 Luglio 2012 - 00.28


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di Francesco Peloso

Con lentezza, progressivamente, pezzo dopo pezzo, anche in Italia
crolla il muro del silenzio sui casi di abuso sessuale compiuti dai
preti. Il caso del prete Giangiacomo Ruggeri, portavoce del vescovo di
Fano, 43 anni, che sulla spiaggia molestava una ragazzina tredicenne,
non è stato nascosto dalle cronache giornalistiche di queste ore.
Resta da dire che il sacerdote in questione non era uno qualunque:
anzi, si trattava di un ‘quadro’ della Chiesa italiana che aveva
ricoperto diversi incarichi, svolgeva l’attività di giornalista –
collaborava con Avvenire – e neanche a farlo apposta si occupava di
scout e pastorale giovanile, cioè di ragazzi. Grazie all’intervento
di un bagnino che lo aveva visto più volte sulla spiaggia in
atteggiamenti morbosi con la ragazzina è stata denunciato e poi
arrestato.

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Ci sono voluti molti anni e molto lavoro perché queste notizie finalmente bucassero lo schermo dei tg, le pagine dei giornali, entrassero nelle nostre case. La stampa nazionale, spesso conformista e reticente fino alla nausea negli affari di Chiesa, ha relegato quasi sempre alle cronache locali casi anche gravi di preti pedofili o abusatori di minori. Fra quanti poi si occupano strettamente di Vaticano, questo tema è stato negato e scansato quasi sempre, anzi chi lo sollevava è stato considerato un nemico della Chiesa, un mestatore che faceva polvere su pochi casi a fronte di una grande maggioranza di preti per bene.

Una storia di insabbiamenti e omissioni

Poi, prima negli Stati Uniti, quindi in Europa, è emersa un’altra drammatica realtà: decenni di insabbiamenti, decisi anche a Roma dalle massime autorità vaticane, vescovi che avevano coperto e nascosto – in alcuni casi – criminali incalliti, predatori seriali, come fu il caso di Boston. Nella città americana, dove agli inizi degli anni 2000 originò lo scandalo in modo plateale, il cardinale Bernard Law, arcivescovo della città, fu costretto a fuggire e a rifugiarsi in Vaticano, dove si trova tutt’ora, per non finire travolto dalle accuse di aver coperto alcuni sacerdoti finiti in carcere con accuse gravissime e drammatiche. Ma già negli anni ’90, si è venuto poi a sapere, nelle chiese del mondo anglosassone il problema veniva sollevato senza che Roma reagisse. La verità è che oggi, nel mondo, si contano decine di migliaia di casi di violenze e abusi per un numero enorme di vittime, un fiume di violazioni che fu nascosto e occultato per salvare il ‘buon nome’ dell’istituzione ecclesiastica.

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Una politica suicida che è stata messa in discussione da Benedetto XVI il quale ha chiesto trasparenza, purificazione, denuncia. E però il prezzo da pagare per la Chiesa è altissimo: la perdita della credibilità e della fiducia, cioè il vero prezioso tesoro della Chiesa assai più rilevante dei conti nascosti dentro lo Ior. Intere nazioni, vedi l’Irlanda, stanno vivendo una crisi profondissima della propria tradizione cattolica dopo che Parlamento e governo hanno istituito diverse commissioni d’inchiesta e indagato su un fenomeno che ha sconvolto un intero popolo e rivelato episodi di abuso sessuale inquietante.

La battaglia informativa per la verità

Di queste vicende, chi scrive, negli ultimi 13 anni, ha seguito faticosamente attraverso il mondo, nomi, notizie, tracce di vescovi scomparsi in qualche monastero europeo e mai finti in carcere. Ha sentito con le proprie orecchie il cardinale Dario Castrillon Hoyos diversi anni fa dire che c’erano più pedofili fra i giornalisti o i medici che fra i sacerdoti, salvo poi apprendere che una sua lettera inviata a nome del Papa ai vescovi di tutto il mondo, ordinava l’insabbiamento generale dei casi di abuso sessuale. In questa lunga battaglia informativa siamo stati aiutati dai media americani e dell’Europa continentale che hanno denunciato pubblicamente questa situazione, dato voce alle vittime, raccontato la complessa vicenda giudiziaria che si andava profilando. In tal modo dalla stampa internazionale è arrivata, per un gruppo non poi così piccolo di noi, un esempio importante e un modello alternativo all’autocensura, l’idea che si potesse parlare.

Resta il fatto che molti dei giornalisti più o meno addetti a seguire il Vaticano, hanno rinunciato a raccontare questa storia, come altre che riguardavano il lato oscuro e tenebroso della Chiesa. E tuttavia la costanza e l’impegno nel compiere il lavoro di denuncia, il mantenimento di un forte atteggiamento critico verso i vertici della Conferenza episcopale italiana che negavano il problema, alla fine hanno dato i loro frutti. Chi oggi perde in questa vicenda è anche quell’informazione scioccamente bigotta, integralista, incapace di osservare i fatti con lealtà e distacco critico.

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Il fallimento della Cei nella politica anti abusi

Da parte sua la Cei ha negato finché ha potuto il problema, ha fatto finta di nulla, poi ha prodotto delle penose linee guida anti pedofilia che, al contrario di quelle di tutti i Paesi occidentali, non mettevano al centro la vittima, ma la tutela del prete abusatore e soprattutto non stabilivano criteri certi per la collaborazione con la giustizia punto qualificante per tutte le conferenze episcopali che hanno voluto recuperare la propria credibilità. Fra l’altro la Cei aveva annunciato, solo nel maggio scorso, che la normativa messa a punto dai vescovi italiani, era stata approvata dalla Congregazione per la dottrina della Fede. E’ stato il promotore di giustizia dello stesso dicastero, monsignor Charles Scicluna, a smentire la Cei in una recente intervista al mensile Jesus nella quale ha spiegato come una valutazione completa doveva ancora essere data e che comunque la Congregazione per la dottrina della fede può “suggerire” integrazioni e cambiamenti del documento.

Infine va ricordato che di recente, la Chiesa tedesca, la Compagnia di Gesù, con il sostegno di numerosi cardinali e chiese di tutto il mondo, hanno promosso un grande simposio tenutosi l’inverno scorso all’Università Gregoriana di Roma e dal quale è nata una banca dati sulla vicenda abusi che può servire quale strumento per affrontare il problema per gli episcopati di tutto il mondo. La Cei mandò in rappresentanza una delegazione di bassissimo livello. Nella stessa occasione diversi alti esponenti stranieri della Chiesa, rilevarono che – pur fra enfasi ed eccessi – il ruolo di denuncia svolto dai media era stato fondamentale nel far affrontare alla Chiesa uno scandalo di tali proporzioni e con implicazioni tanto gravi.

Alcuni casi italiani

Negli ultimi anni sono emerse in Italia vicende gravi. Come quella di don Ruggero Conti, il prete della parrocchia di Selva Candida alle porte di Roma che ha subito un processo esemplare, per certo versi storico visto l’enorme quantità di testimoni a favore e a carico ascoltati dai giudici; come pure importante è stata la sentenza dei giudici che hanno condannato il sacerdote a 15 anni per i gravi abusi sessuali commessi. Ancora da definire la posizione del vescovo che non lo ha denunciato, monsignor Ruggero Reali. Dalla Sicilia, nella cittadina di Acireale, di recente, una vittima, un uomo ormai adulto, ha avuto il coraggio di parlare degli abusi subiti da un prete e quando era ragazzo e bambino, don Carlo Chiarenza, che si è poi rivelato un altro predatore seriale protetto nel corso degli anni da diversi vescovi. Ancora ci sono il caso di don Cantini a Firenze e quello clamoroso di don Riccardo Seppia a Genova, la diocesi attuale del presidente della Cei Angelo Bagnasco e che fu dell’arcivescovo Tarcisio Bertone e di Dionigi Tettamanzi.

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Celibato e sessualità, la Chiesa a un bivio

Ma la questione che a qeusto punto va aperta senza pudori è la seguente: può la Chiesa permettersi ancora di mantenere la regola del celibato obbligatorio per i suoi sacerdoti? Non c’è il rischio che questa scelta costituisca di fatto un pericolo sociale? Ma alla base c’è un problema ancora più generale. E’ ora che la Chiesa affronti il tema della sessualità in tutta la sua complessità come una parte essenziale dell’esperienza umana non relegabile alla sola sfera riproduttiva.

Scheda/ Chi è il sacerdote accusato

È un sacerdote-giornalista, esperto di new media, da sempre impegnato con i ragazzi, tanto che nel 2001 e’ stato nominato vice direttore del Servizio nazionale per la Pastorale giovanile della Cei, don Giangiacomo Ruggeri, il portavoce del vescovo di Fano, arrestato oggi con il sospetto di aver abusato di una ragazzina di 13 anni. Quarantatre anni, di bell’aspetto, dal 2007 e’ anche assistente ecclesiastico regionale dell’Associazione cattolica Guide e Scout d’Europa, branca Scolte. Parroco di Santa Maria a Orciano dal 2008, dal 1994 al 2000 e’ stato vice parroco presso la parrocchia S. Famiglia in Fano. Ha insegnato religione cattolica nel Liceo classico, linguistico e artistico di Fano fino al 2000. Nel 1996 e’ stato nominato direttore dell’Ufficio Diocesano di Pastorale giovanile, un incarico che ha retto fino al 1999. Rientrato nella diocesi di Fano nell’ottobre del 2002 dopo l’esperienza alla Cei, e’ stato nominato direttore del Centro Diocesano Vocazioni.

Giornalista iscritto all’albo dei pubblicisti dal 2003, e scrittore, collabora anche con Avvenire , il quotidiano della Cei. È docente di Teologia e Pastorale della Comunicazione e responsabile dell’Ufficio stampa dell’Istituto Teologico Marchigiano. Ha una licenza in teologia pastorale, nel settore della Teologia della comunicazione, nel 2007, presso la Pontificia Universita’ Lateranense in Roma. Sempre nel 2007 è stato nominato direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali e portavoce del vescovo mons. Armando Trasarti. Dal 2010 insegna Teologia della comunicazione ed Etica dei new media presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose A. Marvelli di Rimini. Da un anno amministra anche la parrocchia di Santa Lucia in Piagge.

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