A meno di 24 ore dalla esemplare sentenza della Corte di Strasburgo sulle atrocità commesse al G8 di Genova del 2001 un nuovo fatto di sangue –certamente differente per ampiezza e in certo senso anche per significato- è esploso al tribunale di Milano, storicamente al centro delle principali vicende inquietanti e simbolo ormai della corruzione pervasiva che invade da anni il nostro Paese.
La vicenda, per quanto limitata e tutto sommato definita nella sua pur drammatica portata, è pur sempre espressione della condizione di esasperazione e del maturarsi di un clima di violenza e di odio che ha man mano preso corpo nella mente dell’assassino. Una sorta di giustiziere vendicatore, che aveva comunque preparato con precisione da killer cinematografico la sua folle vendetta. Giornali, radio e telegiornali hanno spaziato in lungo ed in largo sul terribile episodio rivoltando come un calzino la storia dell’assassino: modesto imprenditore fallito, si sentiva vittima del suo stesso avvocato e del suo socio su cui ha scaricato i suoi colpi micidiali, raggiungendo volutamente lo stesso giudice.
Come di solito accade si sono susseguite dichiarazioni su dichiarazioni, basate essenzialmente sui problemi di sicurezza nei tribunali, a cominciare dalla possibilità di accesso senza controlli adeguati, scaricando in qualche modo sugli stessi magistrati la maggiore responsabilità per gli accessi facili, senza in molti casi neppure le elementari misure di controllo, praticate ormai da anni negli aeroporti. Lo stesso presidente del Consiglio ha subito twittato parlando di sicura falla nei sistemi di sicurezza, senza alcun tentativo di comprensione ed approfondimento. L’unica, quasi ossessione che sembra assorbire preoccupazione del nostro presidente del Consiglio riguardano la legge elettorale e le cosiddette riforme costituzionali. Sostenuto in questo dal suo ministro per le riforme, che teorizza la necessità di procedere in ogni modo financo con un possibile ricorso alla fiducia.
Fortunatamente il nostro presidente della Repubblica Mattarella ha posto con forza il problema delle garanzie necessarie per assicurare una serena attività a tutto il mondo della giustizia, troppo spesso criticato e messo ingiustamente sotto accusa. In non pochi casi assurdamente e ingiustamente considerato causa dei problemi con il mondo politico fino a ritenere la magistratura causa non secondaria della delegittimazione della politica e delle istituzioni. La tragedia del palazzo di giustizia di Milano ha avuto comunque una risposta adeguata e unitaria da parte degli stessi magistrati, degli avvocati e di tutto il personale amministrativo così numericamente carente. Ricordo da giovane universitario, matricola a giurisprudenza, di avere assistito a Roma ad una rappresentazione teatrale di Ugo Betti che scriveva “corruzione al palazzo di giustizia”. Un testo profondo e anche inquietante che rappresentava drammaturgicamente la difficoltà del giudicare e l’appello finale tremendo, alla coscienza, unico conclusivo tribunale della decisione del magistrato sempre alle prese con la corretta interpretazione del comando delle leggi da equilibrare con il dovere di umanità e giustizia.
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