Renzi si affida al costoso guru americano, Silvio era più scaltro

Berlusconi faceva da solo, ed era un grande. Renzi guida un Governo che sulle scelte comunicative fa acqua. Provincialismo e guru costosi, zero idee.

Jim Messina
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6 Ottobre 2016 - 10.28


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Provinciali, innamorati dei nomi e dei guru, amanti della cucina degli chef stellati e delle architetture delle archistar. Il Paese mediocre si fa ben rappresentare da scelte di campo basate sulla non conoscenza (ora sarebbe stato meglio parlare di ignoranza, che è più precisa, ma edulcoriamo un po’ perché la materia è bruttina davvero). Così per il referendum il Sì ha scelto ancora una volta lo spin doctor americano che tanto è amato da Renzi, quel Jim Messina, noto per la campagna 2012 di Obama, per il flop di No Imu in Italia e per aver ben consigliato Cameron nella battaglia del Remain.
Sbirciando le prime cose della campagna (il pezzo di Pietro Spataro è perfetto nell’analisi) capiamo un paio di cose: non ha idea di dove sia capitato. A parte la bruttezza estetica dei manifesti che vediamo, il qualunquismo dell’affermazione rende penoso l’approccio. Sulla comunicazione il governo è davvero all’anno zero. Non solo lo sciocchezzaio di Lorenzin, scrive Annamaria Testa: “Quella sul Fertility day non è la prima campagna fallimentare proposta dai nostri ministeri. Ci sono state, giusto per citare i casi che ho osservato più da vicino, le sconfortanti campagne per la promozione della lettura. Le imbarazzanti campagne per il turismo. Le campagne per la prevenzione dell’aids, tanto inutili quanto ipocrite. Possibile che i ministeri non riescano mai, mai, mai, a imparare dagli errori?”
Possibile, sì. Perché chi non impara è il primo della classe del Governo, l’uomo che affascinato dal mito del nome ha portato Jim Messina a 400mila euro a far una cosa veramente di bassissimo livello. Come dire: mediocre nel contenuto, ma grandiosa nel costo. Il Modello americano prima di tutto, si è detto il premier. Seguendo la strada tracciata brillantemente da Francesco Rutelli che nel 2001 si affidò a Stanley Greenberg (storico stratega di Bill Clinton) per la sua fallimentare campagna elettorale contro Berlusconi. E come fece più recentemente il sobrio Mario Monti che scelse David Axelrod.
Dagli errori non si impara niente. Meglio così. Perché in questo campo, almeno in questo, c’è da rilevare una profonda differenza tra Matteo Renzi e il suo ispiratore mediatico e politico Silvio Berlusconi. Quest’ultimo era indubbiamente un genio della comunicazione. E proprio per questa sua conoscenza mai affidò le sue sorti a guru americani. Perché?  Antonio Palmieri, storico responsabile delle campagne elettorali di Silvio Berlusconi, in un’intervista ha detto: “La realtà politica e comunicativa statunitense è profondamente diversa dalla nostra. Di conseguenza, il modello americano non è immediatamente sovrapponibile”. Come scoprire l’acqua calda.

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