“È andata benissimo. Ora il congresso entro maggio e il voto a settembre”. È un Renzi spavaldo e sicuro di sé quello che esce dall’infuocata Assemblea Pd di ieri. Sicuro di aver bellamente ignorato la minoranza Dem e le sue volontà scissioniste.
C’è anche una data e un programma. Prossimo appuntamento, l’adunata nello stesso posto che vide nascere il sogno Pd: al Lingotto di Torino il 10 e l’11 marzo, e poi primarie tra il 9 aprile e il 7 maggio, con gazebo ad affollare le piazze italiane, pronti per le amministrative di giugno e in attesa delle elezioni politiche, che potrebbero slittare a settembre.
Il risultato ottenuto dal segretario dimissionario e pronto a riscendere in campo è stato quello di ignorare gli scissionisti, chiosando al termine dell’assemblea con un: “resteranno, tanto non li seguirà nessuno” e presentando sul palco i suoi jolly di sinistra: Piero Fassino, Teresa Bellanova e Walter Veltroni. Esponenti, soprattutto Fassino e Veltroni, rottamati qualche tempo fa dallo stesso Renzi, e oggi diventati tra i suoi più cari e fedeli compagni.
Intanto Andrea Orlando, il guardasigilli, sta a guardare: se la scissione con Emiliano si formalizzerà, potrebbe essere lui lo sfindate. Le sue parole lo hanno annunciati: “Il Pd va rifondato.
La scua scelta ingorare l’offerta di Emiliano e traghettare da oggi il Pd diviso verso gli appuntamenti primaverili che lo vedranno rimettersi in gioco per vincere le prossime elezioni. Sapendo benissimo che la situazione è tutt’altro che rosea, e tutt’altro che chiara: partito spaccato, amministrative rischiose e ancora nessuna legge elettorale all’orizzonte.
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