E se a risolvere il rebus del governo fosse un premier donna?
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E se a risolvere il rebus del governo fosse un premier donna?

Tra i nomi sempre pronti per essere spesi quello di Emma Bonino: reduce sì da una delusione elettorale, ma ben attenta a non legare troppo il suo nome a quello dei democratici.

Emma Bonino
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9 Aprile 2018 - 10.19


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Sarebbe la prima volta nella storia della Repubblica, ma già nelle settimane scorse abbiamo visto la prima volta di una donna sullo scranno più alto di Palazzo Madama. Quindi, niente da stupirsi. Il problema, semmai, sono le coalizioni che potrebbero reggerne l’esecutivo, perché a riguardo le ipotesi possibili sono quattro: coalizione M5S-Lega, coalizione M5S-Pd, governo di larghe intese, coalizione M5S-Centrodestra. Ma chi potrebbero essere i nomi spendibili dai diversi schieramenti per Palazzo Chigi?

La prima candidata, naturale, è Maria Elisabetta Alberti Casellati. Esponente convinta di Forza Italia, vicina come pochi a Silvio Berlusconi. Un handicap, forse, per le larghe intese ma anche per le altre possibili formule di governo. Ma lei è pur sempre il presidente del Senato, carica che ne fa una candidata quasi scontata in caso di mandato esplorativo. I precedenti, a riguardo, sono molti. Inoltre i cinquestelle una volta l’hanno già votata, e se la sono fatta piacere, e la cosa costituisce anch’essa un precedente importante. Sarebbe difficile per il Movimento trovare adesso una scusa per negare il consenso. E se i cinquestelle si dicessero d’accordo, anche il Pd potrebbe. Tanto più che lascerebbe vuota una poltrona appetibile per il Nazareno, rimasto scontentissimo per la ripartizione delle cariche parlamentari.  

Tradizionale riserva della Repubblica, la Corte Costituzionale ha tre donne nei suoi ranghi. Si tratta della vicepresidente Marta Cartabia, di provenienza non lontana dalle parti del centrosinistra ma anche elemento che si è fatto apprezzare, tanto dall’arrivare alla seconda carica della Corte con un ampio consenso trasversale. Ancora più spostata verso il centrosinistra Daria De Pretis, prima donna a ricoprire in passato la carica di rettore dell’Università di Trento.

Ma se a scegliere dovesse essere il Movimento Cinque Stelle, probabilmente a Palazzo Chigi andrebbe Silvana Sciarra, donna che ha colpito duramente in passato la legge Fornero, costringendo le forze politiche ad una sua parziale revisione. Anche perché sia chiaro: in caso di alleanza tra cinquestelle e Pd sarebbero i primi, in quanto forza principale, ad indicare il nome del Presidente del Consiglio (come ha fatto, per intenderci, la Dc per molti anni). Stessa cosa in caso di coalizione tra M5S e Lega (i rapporti di forza sono: 32 percento il primo, quasi la metà la seconda). Cosa diversa se il governo dovessero formarlo i cinquestelle con tutto il centrodestra unito: sarebbe quest’ultimo a poter esercitare il diritto di fare il nome del premier. Se poi si arrivasse alle larghe intese, lì probabilmente toccherebbe direttamente a Sergio Mattarella, che del resto alla Corte Costituzionale è di casa: anche lui, nel 2015, fu un giudice chiamato a sbrogliare una matassa parlamentare quando si trattò di trovare il successore a Giorgio Napolitano.

Difficilmente si tratterebbe, comunque, di Paola Severino: la donna che ha dato vita alla legge che ha costretto Silvio Berlusconi a lasciare il Senato e a rivolgersi alla giustizia europea. In compenso il nome di Severino potrebbe essere ben spendibile in caso di intesa tra M5S e Pd (con un possibile allargamento a Leu: voti pochi, ma utili). Tra i nomi sempre pronti per essere spesi quello di Emma Bonino: reduce sì da una delusione elettorale, ma ben attenta a non legare troppo il suo nome a quello dei democratici. Ed il partito radicale, si sa, ha sempre avuto un dialogo intenso anche con il centrodestra. Berlusconi la volle alla Commissione Europea, il centrosinistra alla Farnesina. Curriculum ecumenico, pronto per essere tirato fuori al momento opportuno.

Di profilo più basso i nomi al femminile che può presentare la Banca d’Italia, anch’essa tradizionale serbatoio di premier traghettatori e super partes. Le dirigenti più alte in grado risultano essere nei ranghi del Consiglio Superiore di Palazzo Koch: Orietta Maria Varnelli, Franca Alacevich, Donatella Sciuto.

Deboli, almeno a momento, anche i nomi di Anna Finocchiaro, più volte indicata in passato come possibile candidata al Quirinale, e di Linda Lanzillotta. Quanto a Lucrezia Reichlin, l’economista ha uno splendido curriculum ma potrebbe risultare poco gradita a Lega e cinquestelle: troppo tecnica, soprattutto vicina ai mondi di Bruxelles e Londra che le due formazioni dicono di non apprezzare.
Lunga, infine, anche la lista dei nomi poco probabili. Maria Elena Boschi è troppo schiacciata sul Giglio Magico di Matteo Renzi: una sua nomina rischierebbe poco digeribile a parte del suo stesso partito, per non parlare di quanti nel corso di queste settimane ne hanno avuto per la gestione appena passata del Pd. Stesso discorso per Debora Serracchiani. Laura Boldrini appare politicamente molto indebolita, Mara Carfagna non manca certo di abilità, ma al momento di trova incardinata nei ranghi di Forza Italia come capogruppo alla Camera (al Senato c’è Anna Maria Bernini). Troppo sbilanciata sulla destra Daniela Santanchè mentre Giorgia Meloni, essendo leader di un partito come anche Beatrice Lorenzin, attribuirebbe un ruolo per alla sua forza politica ritenuto eccessivo.
E dalla società civile? Nel 2015, per il Quirinale, fu fatto anche il nome di Milena Gabanelli, che non dispiaceva certo al Movimento Cinque Stelle. Ma si tratta di un nome che suscita sentimenti contrapposti, come spesso capita ai giornalisti. E questa volta, forse, ci sarà bisogno di una figura che unisca e rassicuri. Per non dire una figura materna. 
 
 
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