Miccoli (Pd): "Bonaccini, Gori e altri, a sparare contro una linea decisa insieme. Zingaretti non ne poteva più”
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Miccoli (Pd): "Bonaccini, Gori e altri, a sparare contro una linea decisa insieme. Zingaretti non ne poteva più”

Parla Marco Miccoli, ex deputato e adesso responsabile nazionale per il Lavoro dei democratici: "Orfini, i capigruppo di Camera e Senato i parlamentari della base riformista. Uno stillicidio di accuse

Marco Miccoli
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5 Marzo 2021 - 15.32


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Marco Miccoli, Nicola Zingaretti si è dimesso dal Pd. Dice di vergognarsi di un partito che pensa solo alle primarie e alle poltrone…

Condivido in toto quello che ha detto Nicola. E’ stato molto diretto e molto duro, ma le sue parole fotografano quello che è successo -, spiega il responsabile nazionale per il Lavoro del Pd rispondendo all’Agenzia SprayNews -. Negli ultimi dieci giorni siamo stati obbligati a parlare di poltrone, di posti, di vicesegreteria, di strane affermazioni, dagli elogi a Matteo Salvini a chi voleva riaprire tutto, in sintonia con lui. Fino agli strani sondaggi, poi rientrati, che vedevano il Pd in caduta libera. Parlavamo di noi stessi, quando nel Paese saliva la preoccupazione per l’aumento dei contagi, per le chiusure, per le zone rosse, i possibili lockdown, per la situazione di alcune aziende in crisi, come l’Ilva e l’Alitalia dove non ci sono i soldi per pagare gli stipendi a fine mese. Ha fatto bene Nicola a dire: “Se il problema sono io, mi faccio da parte. Così finalmente potete iniziare a discutere delle urgenze del Paese”.

Può farmi dei nomi?

I nomi sono via via usciti sui giornali. Si sono alternati. I diversi sindaci, Dario Nardella, Giorgio Gori e Stefano Bonaccini, Matteo Orfini, i capigruppo di Camera e Senato Graziano Delrio e Andrea Marcucci, i parlamentari della base riformista. Uno stillicidio di accuse contro il partito democratico, reo non si capisce di che cosa. La messa in discussione di una linea che era stata votata all’unanimità, alla presenza di tutti gli organismi dirigenti. Salvo poi, riaprire le danze la mattina dopo. Così non si poteva più andare avanti.

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Lei è indignato?

Sono indignato e, soprattutto, preoccupato per il Paese. Come dice Zingaretti, noi stiamo qui a fare politica non per accaparrare posti e poltrone, ma per dare una mano al Paese, sostenendo un governo che ha indubbiamente delle problematiche per la presenza, al suo interno, di un nostro avversario politico storico, quale è sempre stata la Lega. Sono indignato perché siamo stati inchiodati alle polemiche, quando c’era da rimboccarsi tutti le maniche per aiutare il Paese a uscire da un incubo sanitario, economico e sociale.

Ora come si rimettono insieme i pezzi del giocattolo rotto? 

Il partito, quello dei circoli, dei militanti e degli elettori, ha dimostrato ampiamente da che parte sta. Stanno inondando la segreteria nazionale di messaggi, di lettere e di telefonate, in cui ribadiscono la stima e la fiducia nel Segretario. Ai dirigenti che hanno criticato Zingaretti e che ora gli chiedono di ripensarci e di tornare alla guida del partito, io dico che se ne può uscire solo con la politica. Non possiamo chiedere a Zingaretti di restare. Senza una svolta politica. Senza la garanzia del ripristino di un modo di confrontarsi normale e incisivo. Nicola non tornerà tanto per tornare. Lui si è assunto le proprie responsabilità. Dovrebbe farlo anche chi ha prodotto questa situazione. 

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Che cosa risponde a Fausto Bertinotti che auspica, dopo le dimissioni di Zingaretti, lo scioglimento del Pd?

Io penso che le formule organizzative e le sigle non risolvono mai del tutto i problemi. Il problema è quello della linea politica che la sinistra deve oggi adottare. Tenendo conto di uno scenario che è profondamente cambiato. Con i Cinquestelle che non sono più quelli di prima. Con la Lega che cerca di recuperare una credibilità smorzando i toni e riavvicinandosi all’Europa. E con il polo moderato, che è praticamente scomparso con la sconfitta di chi, come Matteo Renzi, ne rivendicava, spavaldo, l’egemonia. Un sommovimento politico enorme che reclama, più che nuove formule organizzative, un approfondimento appassionato sulla rotta da seguire, sul ruolo della sinistra in un mondo e in un’Europa che sono cambiati e in questa Italia sprofondata in una crisi gravissima, per colpa della pandemia. 

Ma qualche errore Zingaretti lo avrà pur commesso?

Gli errori li commettono tutti. Voglio far notare che Zingaretti è il Segretario del partito da due anni, il secondo dei quali attraversato da un’emergenza sanitaria e sociale, senza precedenti dal dopoguerra a oggi. Sfido chiunque a non commettere errori in una situazione tanto drammatica e stringente. E poi, tutti i passaggi e, quindi, tutti gli eventuali errori, Zingaretti li ha condivisi con tutti gli organismi dirigenti. Lui si è assunto le proprie responsabilità. Dovrebbero fare altrettanto tutti quelli che hanno un ruolo apicale nel partito. 

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Lei è personalmente ancora convinto che l’alleanza con Cinquestelle e Leu sia ancora la strada maestra da percorrere?

Sono ancora più convinto dopo la scelta del M5S di affidare la leadership a Guseppe Conte, che non è solo un europeista convinto, ma anche una persona che, durante la crisi pandemica, ha indirizzato le scelte in una direzione, che io reputo di sinistra, dal blocco dei licenziamenti alla cassa integrazione anche per le aziende con un solo dipendente, dalla nazionalizzazione dell’Alitalia a quella dell’Ilva. 

Che cosa l’ha più fatta arrabbiare in tutta la querelle che ha portato alle dimissioni di Nicola Zingaretti?

L’irresponsabilità e il distacco dal Paese reale. Come responsabile del partito per il Lavoro, una parte della mia vita la trascorro con i lavoratori, nelle fabbriche e nelle piazze. Il distacco dal dibattito, in corso dentro il partito, è enorme. E quello che fa più male è proprio la percezione della lontananza, di un mondo di cui abbiamo perso la conoscenza. Molte cose, viste dalle fabbriche, appaiono non solo distanti anni luce dai problemi reali, ma addirittura ridicole. Questo per me è intollerabile. Non lo sopporto e non lo posso accettare.

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