L'ex leghista Leoni Orsenigo: "Il mio cappio in parlamento? Legittimo e lo rivendico"
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L'ex leghista Leoni Orsenigo: "Il mio cappio in parlamento? Legittimo e lo rivendico"

Il deputato di Cantù il 16 marzo del 1993, diviene l'uomo simbolo della stagione della politica forcaiola: "Ma ora ora non togliete i vitalizi"

Luca Leoni Orsenigo e il suo cappio
Luca Leoni Orsenigo e il suo cappio
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29 Maggio 2021 - 11.02


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Fu un gesto che passò alla storia e simbolo di quella Lega che vedeva in Roma la nemica principale da combattere.

Luca Leoni Orsenigo, all’epoca giovane deputato di Cantù della Lega Nord, il 16 marzo del 1993, diviene l’uomo simbolo della stagione della politica forcaiola, inaugurata nella prima Repubblica, in piena Tangentopoli. A Montecitorio agita una fune con il nodo scorsoio, la mostra ai colleghi degli altri partiti: ai democristiani, ai socialisti, alle forze finite nel tritacarne di Tangentopoli, che la Lega di Bossi cavalca. Parapiglia, intervento dei questori, immagini trasmesse in tutto il mondo.

“Il mio fu un gesto legittimo, il cappio in Aula lo rivendico, lì si stava votando il decreto Conso che gettava un colpo di spugna sulle malefatte dei partiti, sulle politiche del malaffare”.

Sulla svolta dei Cinque Stelle, sulle parole di Di Maio che ha ammainato la bandiera del giustizialismo duro e puro, l’ex leghista, oggi amministrativo in una società a Como, dice: “Di Maio si pente? Pensi allora anche ai poveri ex parlamentari, visto che gliene ha fatte di tutti i colori, i soldi li abbiamo versati, va bene la revisione del trattamento, la trasformazione a fondi contributivi, ma non tutti i parlamentari sono stati dei ladri, accanirsi con gente di 90 anni che usa il vitalizio per pagarsi la casa di riposo non è una cosa giusta”. “Facessero marcia indietro anche su questo, un po’ meno di populismo e più lavoro, hanno pure buttato via 20 miliardi per l’Alitalia”, chiede Leoni Orsenigo ai Cinque Stelle.

Anche Salvini, fa sapere di essersi anche lui scusato con Uggetti, per quel gesto che simulava le manette che il leader leghista aveva indirizzato all’ex sindaco dem di Lodi, ora assolto.

“Salvini usa la pancia della gente, ok, adesso lo vorrei ancora più concreto”.

Si apre così il capitolo Lega, suo ex partito: “Nel ’96 ho lasciato la politica, ho capito che non era più la mia strada, non volevo campare di politica, come fanno tanti. A un certo punto, io che ero quello che mostrava il cappio in Aula, che tuonava contro il malaffare degli altri partiti, mi sono accorto che anche la Lega prendeva i finanziamenti, e ci rimasi male”.

Ma in quel momento, trenta anni fa, il nodo scorsoio fu per il 30enne leghista lumbard il simbolo giusto da agitare in Aula: “C’era la volontà di rimettere le cose a posto, in quegli anni i partiti facevano quello che volevano, il debito pubblico parte da lì”.

“Ricordo – aggiunge – che quel decreto Conso, poi convertito in legge, Scalfaro, allora presidente della Repubblica, neanche voleva firmarlo, perché temeva l’impeachment”. “C’era davvero voglia di cambiamento, allora la gente, la base, quando tornavi a casa ti chiedeva conto di quello che facevi”. “Il cappio lo rivendico”, dice oggi. “Io non sono per la pena i morte, quello – ammette – fu certo un gesto eclatante. Ma i tempi erano diversi”.

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