Il ministro Cingolani sulla transizione ecologica ammette: "Potrebbe essere un bagno di sangue"
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Il ministro Cingolani sulla transizione ecologica ammette: "Potrebbe essere un bagno di sangue"

Intervista del ministro: "Per cambiare il nostro sistema e ridurre il suo impatto ambientale bisogna fare cambiamenti radicali che hanno un prezzo"

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1 Luglio 2021 - 09.15


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Il ministro ripete da mesi quello che si prospetta per un futuro davvero ecologico: cambiare gli stili di vita e fare dei sacrifici. “Potrebbe essere un bagno di sangue”. Roberto Cingolani è chiaro: in un’intervista alla Stampa afferma che “per cambiare il nostro sistema e ridurre il suo impatto ambientale bisogna fare cambiamenti radicali che hanno un prezzo. Di conseguenza dovremo far pagare molto la CO2 con conseguenze, ad esempio sulla bolletta elettrica”. Per quanto riguarda, poi, le critiche di Grillo “sono un tecnico scelto dal presidente del consiglio – dice il ministro della Transizione ecologica – Le critiche sono utili, sicuramente avrò fatto scelte non andate in una certa direzione e altre all’opposto. Non ho un partito alle spalle, sto cercando di interpretare il mio servizio in modo che sia utile al Paese. La politica dà delle priorità, io cerco di assecondarle tutte”.
Per poter spendere tutti i fondi entro sei anni, prosegue Cingolani, “il cambiamento deve essere realizzato entro il 2026. Ma non è così.
Il progetto è quello di arrivare a un continente a impatto zero sull’ambiente entro il 2050. Se li spenderemo bene avremo la possibilità di centrare l’obiettivo. Se li spenderemo male o non li spenderemo, perderemo la competizione con gli altri paesi. I prossimi sei anni sono come il primo stadio di un razzo. Se lavora bene il razzo raggiungerà la Luna. Se lavora male il razzo finirà fuori orbita”.
Gli obiettivi su cui lavoreremo, dice ancora il ministro, “li abbiamo concordati con l’Europa che ci ha messo a disposizione buona parte dei fondi. Innanzitutto lavoriamo sulla mobilità sostenibile. Che prevede un cambio di infrastrutture e di sistemi produttivi molto significativo. Il programma è di aggiungere 29 mila colonnine elettriche per la ricarica delle automobili a quelle attualmente esistenti. Ma non si tratta solo di questo. Dobbiamo diventare autosufficienti dal punto di vista della produzione delle batterie. Il governo pensa che sia un bene per l’Italia che la gigafactory per la loro produzione si faccia in Italia. Dove costruirla dipende dalle scelte dei produttori, in questo caso Stellantis, e dei territori interessati. Da una parte ci sono aree come quella di Torino che hanno le competenze e una tradizione consolidata nel settore dell’auto.
Dall’altra ci sono territori nel Sud che hanno seri problemi di riconversione del loro impianto produttivo”.
Quanto al trasferimento del traffico da gomma a ferro, Cingolani dice di reputare “le ideologie le peggiori nemiche del futuro dei nostri figli. Dobbiamo avere il coraggio di accettare cambiamenti come necessari. Sulle grandi distanze uno dei maggiori problemi è stato avere troppa mobilità su ruota, anche per il traffico merci, quindi un utilizzo intelligente del traffico su ferro è una parte importante della soluzione. Gli investimenti sull’alta velocità sono importanti per questo”.
Riguardo, invece al tema dell’acciaio verde, “quello della transizione delle acciaierie è un problema molto urgente. Pensiamo di passare dalle fornaci a carbone a una fornace alimentata a gas, quindi con dei forni elettrici e già questo abbatte la CO2 del 30%. Lavoriamo per convertire anche le grandi acciaierie come l’Ilva. Certo per fare questo l’Europa ci dovrà dare una mano perché se noi produciamo un acciaio buonissimo, verde, che costa di più, e poi qualche altro Paese lontano ci vende acciaio non verde a basso costo, bisogna compensare.
È un problema di geopolitica e di accordi internazionali. Il problema non è solo se noi raggiungiamo l’obiettivo della transizione energetica e ambientale. Il problema è se ci riusciamo tutti insieme. Noi siamo solo una parte dell’Europa e l’intera Europa emette solo il 9 per cento della CO2 del mondo. Il resto dell’inquinamento viene da altri paesi e altri continenti. Se non riusciremo a convincerli, a impegnarsi anche loro, anche i nostri obiettivi saranno a rischio. Noi comunque dobbiamo impegnarci a fare fino in fondo la nostra parte”.

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