Ucraina: il Donbass e l'incubo di una Jugoslavia 2.0
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Ucraina: il Donbass e l'incubo di una Jugoslavia 2.0

L'Ucraina è ''come la ex Jugoslavia'', c'è ''una guerra civile che va avanti dal 2014'' e una ''identica tragedia umanitaria''. E pra Putin ha deciso di riconoscere le repubbliche separatiste.

Ucraina: il Donbass e l'incubo di una Jugoslavia 2.0
Tensioni tra Ucraina e Russia
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

21 Febbraio 2022 - 17.58


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Donbass, Ucraina: l’incubo di una Jugoslavia 2.0 si sta trasformando in realtà.  Tanto più che Vladimir Putin ha anticipato la sua decisione di voler riconoscere le due repubbliche separatiste seppellendo – se cos’ fosse – gli accordi di Minsk.

Ong italiana nel Donbass: è guerra civile come in ex Jugoslavia

L’Ucraina è ”come la ex Jugoslavia”, c’è ”una guerra civile che va avanti dal 2014” e una ”identica tragedia umanitaria”. E se forse c’è un elemento positivo nella tensione crescente di queste settimane è l’aver acceso i riflettori su ”una situazione che va avanti da otto anni” e sulla quale ora i leader si stanno concentrando ”per trovare una soluzione, per vedere come uscirne”. Ma ”purtroppo bisogna arrivare a una drammatizzazione per poi riemergere, è sempre stato così”.

Lo dichiara ad Adnkronos Ennio Bordato, presidente dell’ong ‘Aiutateci a salvare i bambini’ attiva nel Donbass dal 2014. ”Siamo una ong nata nel 2001 e lavoriamo nei Paesi dell’ex Unione Sovietica. In Ucraina siamo presenti dal 2014, quando abbiamo aiutato gli evacuati”, spiega, sottolineando che ”aiutiamo tutti i bambini dell’Ucraina, non solo nel Donbass. Perché i bambini piangono tutti nella stessa lingua”.

 Intanto, altre due regioni russe hanno proclamato lo stato d’emergenza per l’arrivo di profughi evacuati dalla regione del Donbass: si tratta di quelle di Penza e di Saratov, che si sono rese disponibili ad accogliere fra i 500 e i 1.500 profughi a testa. Lo scrive l’agenzia Interfax, secondo cui oltre a quella di Rostov e le due nuove, avevano già proclamato lo stato d’emergenza anche le regioni di Ryazan, Volgograd, Voronezh e Kursk. In quest’ultima, fanno sapere le autorità locali, è arrivato un treno con 525 civili dal Donbass. 

I leader delle autoproclamate repubbliche separatiste dell’Ucraina orientale hanno chiesto al presidente russo Vladimir Putin di riconoscere la loro indipendenza e avviare una “cooperazione di difesa”. Questi appelli, trasmessi dalla televisione russa, sono stati lanciati dai leader della “Repubblica popolare di Donetsk” e di quella di Lugansk, Denis Pushilin e Leonid Passetchnik.

Ecco l’incubo di una  Jugoslavia 2.0. 

A materializzarlo sono le migliaia di civili in fuga. Sono i richiami identitari, all’appartenenza etnica e a quella religiosa. Sono gli attori esterni che fanno, ieri della Jugoslavia, oggi dell’Ucraina, teatro di una guerra per procura con un effetto domino devastante..  Sono passati trent’anni da quella tragedia che ha squassato i Balcani, provocando stragi immani, come quella di Srebrenica, fosse comuni, stupri di massa, la ridefinizione di entità statuali sulla base dell’identità comunitaria. Ed oggi la storia sembra ripetersi. 

Intanto, oltre 40 regioni russe sono pronte a ricevere rifugiati del Donbass secondo il ministero russo per le Emergenze. Quasi 400 centri per sistemazioni temporanee, pronti a ricevere 42mila persone, sono stati allestiti in 43 aree della Russia per accogliere rifugiati provenienti dalle repubbliche di Donetsk e Lugansk, dice la Tass citando il servizio stampa del ministero russo per le Emergenze. Altri 149 centri di accoglienza temporanei sono stati allestiti per 54mila persone come ulteriori riserva. Al momento sono circa 10mila gli sfollati accolti in 4 regioni russe. Circa 4.500 sono bambini. 

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Secondo l’agenzia stampa di Donetsk, citata da Interfax, la miniera colpita è quella di Skochinksy, nel distretto di Kirovskyi. Nessun minatore risulta ferito. Sempre a Donetsk è stato proclamato lo stato d’emergenza: oltre 21mila persone sono rimaste senz’acqua a causa di un altro bombardamento, che ha colpito un impianto idrico. Anche l’ospedale della città sarebbe stato danneggiato da colpi di mortaio sparati dall’esercito di Kiev. Situazione complicata anche nella zona intorno aMariupol, sempre sul confine: “I militanti della 36a brigata hanno attaccato le postazioni delle unità della Milizia popolare (di Donetsk) nell’area di Kominternovo. C’è una battaglia vicino al confine con la Federazione Russa”, riferisce su Telegram il leader dell’autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk Denis Pushilin. “A seguito di colpi di mortaio e artiglieria, un militare della Milizia popolare è stato ucciso, diverse persone sono rimaste ferite”, ha aggiunto Pushilin, affermando che “i gruppi di sabotaggio ucraini sono diventati sempre più attivi”. E proprio da loro parte l’agenzia locale Tass, secondo la quale cinque “membri di un gruppo di sabotatori” ucraini che avevano violato il confine con la Russia sono stati “eliminati”. L’agenzia Ria Novosti aveva detto che due veicoli della fanteria ucraina – entrati in territorio russo per evacuare il gruppo di sabotatori – sono stati distrutti. Kiev smentisce tutto tramite il portavoce della Guardia di frontiera ucraina, Andriy Demchenko. 

Tragedia umanitaria

Non solo sanzioni economiche e rafforzamento militare: l’Unione Europea si prepara ad un altro prevedibile effetto di un’eventuale invasione russa dell’Ucraina, un’ondata di rifugiati che potrebbe arrivare fino ad un milione di persone – una stima che in termini di entità potrebbe rivaleggiare con quella siriana del 2015. In realtà queste stime guardano allo scenario di una invasione vera e propria dell’Ucraina, una guerra su ampia scala, non ritenuta la prima opzione nella lista delle possibili azioni russe. Per ovvie ragioni geografiche, in ogni caso, Polonia e gli altri Paesi dell’Est europeo si ritroverebbero in prima fila nell’emergenza.

 Il vicepresidente della Commissione Ue, Margaritis Schinas, ha previsto che “tra 20.000 e più di un milione di rifugiati potrebbero tentare di accedere all’Ue”. Inoltre, “attualmente ci sono circa 20.000 cittadini dell’Ue che vivono in Ucraina che avranno bisogno di sostegno in caso di evacuazione”. “L’Ue è pronta a mobilitare importanti aiuti umanitari e assistenza in caso di interventi di emergenza”, ha assicurato; e anche i Paesi membri confinanti stanno ultimando i loro preparativi

Polonia

“Per quanto riguarda la crisi che scoppierebbe di certo se la Russia attaccasse l’Ucraina, voglio ribadire che siano pronti ad aiutare coloro che saranno costretti a lasciare l’Ucraina”, ha ribadito il ministro della Difesa polacco, Mariusz Blaszczak, nel corso della conferenza stampa congiunta con l’omologo statunitense Lloyd Austin. La Polonia accoglie peraltro già il 73% degli oltre 750mila beneficiari dei permessi di soggiorno accordati dall’Unione Europea all’Ucraina nel 2019; altra questione è quella relativa ai richiedenti asilo: le leggi polacche sono in questo senso assai restrittive e dopo l’invasione della Crimea, nel 2015, Varsavia ha respinto il 99% delle domande presentate da cittadini ucraini.

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Romania

Il ministro degli Interni romeno, Lucian Bode, ha reso noto di star valutando la possibilità di organizzare dei campi profughi nell’arco di un tempo brevissimo, con 24 ore di preavviso, oltre a quella di ospitare i rifugiati nelle provincie di confine e se necessario in tutto il Paese.

Slovacchia e Ungheria

Il ministro degli Interni slovacco, Roman Mikulec, ha parlato di decine di migliaia di rifugiati anche nel caso di un conflitto limitato mentre il premier ungherese Viktor Orban ha evocato lo spettro del conflitto jugoslavo: “Negli anni Novanta decine di migliaia di persone arrivarono dai territori dell’ex Jugoslavia, ma dall’Ucraina ne arriverebbero molti di più, e probabilmente senza alcuna speranza di fare ritorno a casa”.

I Paesi baltici

Anche i Paesi baltici, Lituania, Estonia e Lettonia, si sono detti disposti ad accettare dei rifugiati, sia con l’allestimento di campi profughi che con altre soluzioni logistiche. 

Tanto più se si avvereranno le funeste profezie che si reiterano da Washington. “Un attacco estremamente violento contro l’Ucraina è possibile nei prossimi giorni o ore”. Lo ha detto la Casa Bianca sottolineando che “l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia schiaccerebbe in modo brutale gli ucraini”. E siamo di nuovo al countdown. Gli Usa mi hanno assicurato che è possibile una moratoria sull’entrata dell’Ucraina nella Nato”, fa sapere Putin citato dalla Tass. Ma ha poi tenuto a chiarire: “Non è una moratoria per noi, non è una concessione a noi, è una moratoria per loro” perché “semplicemente riflette la realtà, che l’Ucraina non è pronta”. E le condizioni poste dal Cremlino sono nette: “Non abbiamo garanzie che l’Ucraina” non entri nella Nato, quindi “abbiamo bisogno di un documento firmato che sia valido secondo il diritto internazionale”.

A far salire la tensione l’annuncio fatto direttamente da Putin sul fatto che Mosca sta considerando la richiesta di riconoscimento di indipendenza delle due repubbliche separatiste in Ucraina orientale formulata dai leader di Lugansk e Donetsk. E in serata ha deciso di dire di sì.

Con una scelta inedita, il Cremlino ha deciso di mandare in diretta tv la riunione del Consiglio di sicurezza. Una chiara mossa di propaganda da parte della Russia. E infatti nel corso della riunione Putin ha detto che secondo le informazioni in loro possesso “l’Ucraina prepara una nuova azione nel Donbass”: “Kiev ha già condotto tra operazioni punitive contro il Donbass e sembra proprio che si stia avventurando in un’altra. Gli ultimi sviluppi dimostrano che le autorità ucraine non hanno nessuna intenzione di implementare gli accordi di Minsk”.

Tutte le istituzioni russe si stanno esprimendo a favore del riconoscimento delle autoproclamate repubbliche dell’Ucraina orientale. Dopo il parlamento, e’ intervenuto anche il vicepresidente del Consiglio di Sicurezza Dmitry Medvedev. “E’ impossibile che migliori la situazione in Ucraina, quindi è necessario riconoscere Lugansk e Donetsk”. Analoga richiesta è 
stata formulata dal capo dell’intelligence e dal ministro della Difesa. “Non c’è altra via che riconoscere” il Donbass, ha sintetizzato il ministro Lavrov. 

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Il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba resinge le accuse della Russia di violazioni del confine da parte delle forze ucraine. “Respingo categoricamente la disinformazione della Federazione Russa”, ha affermato via Twitter. L’Ucraina, scrive Kuleba, “non ha attaccato Donetsk, Luhansk, non ha inviato sabotatori o mezzi corazzati per il trasporto di personale attraverso il confine, non ha sparato sul territorio della Federazione Russa o al posto di blocco al confine, non ha commesso sabotaggio, non pianifica tali azioni”. “Chiedo alla Federazione Russa – ha concluso – di fermare immediatamente la fabbrica di fake (news)”. 

Michael Kofman, un analista militare che lavora per il centro studi Cna, ha dettoal Washington Post: “La gente dice: “[Putin] non oserà. Non oltrepasserà la linea di una guerra su larga scala in Europa”. Vorrei essere d’accordo anche io. Ma negli ultimi tre anni l’ho visto oltrepassare moltissime linee che pensavo non avrebbe mai superato”.

“Putin è diventato molto più duro, anche in privato, rispetto al 2014”, ha confidato al Financial Times un funzionario diplomatico francese che ha accompagnato il presidente Emmanuel Macron nel suo recente viaggio a Mosca.

Come ha scritto il New York Times, il lunghissimo tavolo usato da Putin per tenersi lontano da Macron (ufficialmente per mantenere il distanziamento fisico) è tra le altre cose una metafora del fatto che, in questi due anni di pandemia, Putin è diventato sempre più isolato e ha ridotto la sua cerchia di consiglieri e confidenti a pochissime persone. Da due anni, al contrario dei suoi colleghi occidentali, Putin vive praticamente in una bolla sanitaria.  in cui pochi possono entrare. Tiene la maggior parte delle riunioni in videoconferenza, esce molto raramente dalla Russia e tiene altrettanto raramente incontri di persona sia con altri leader internazionali sia con collaboratori fuori da una ristretta cerchia.

L’isolamento di Putin  – rimarca Il Post,” ha accentuato un fenomeno già in corso da qualche anno, cioè l’aumento dell’influenza di un piccolo gruppo di consiglieri con posizioni molto radicali, su cui Putin farebbe affidamento quasi esclusivo per tutte le decisioni strategiche. Questi consiglieri condividono il background di Putin: sono tutti ex funzionari militari e degli apparati di sicurezza – quasi tutti del Kgb, come Putin – nati all’inizio della Guerra fredda e sono definiti siloviki, parola con cui nel gergo russo si indica un politico proveniente dagli apparati di sicurezza”.

Lo stesso si diceva, trent’anni fa, di Slobodan Milosevic. 

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