Essere antifascisti oggi non è retorica, ma resistenza contro autoritarismo, disuguaglianze e attacchi alla Costituzione
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Essere antifascisti oggi non è retorica, ma resistenza contro autoritarismo, disuguaglianze e attacchi alla Costituzione

Stimabili giornalisti e intellettuali del nostro tempo, tutt’altro che meloniani, ritengono che l’insistente professione di antifascismo di gran parte della cultura italiana e di molti politici d’opposizione sia pleonastica e ipocrita.

Essere antifascisti oggi non è retorica, ma resistenza contro autoritarismo, disuguaglianze e attacchi alla Costituzione
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4 Maggio 2025 - 18.51


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di Giovanna Musilli

Stimabili giornalisti e intellettuali del nostro tempo, tutt’altro che meloniani, ritengono che l’insistente professione di antifascismo di gran parte della cultura italiana e di molti politici d’opposizione sia – in molti casi – pleonastica e ipocrita. Il fascismo è morto 80anni fa, le condizioni storiche che ne hanno favorito l’affermazione, a cent’anni di distanza, non sono ripetibili. Oggi, a essere antifascisti, non si rischia nulla, se non – al massimo – l’identificazione da parte di zelanti rappresentanti delle forze dell’ordine. Agli elettori dell’antifascismo non interessa granché: dunque, converrebbe rinunciarvi quale argomento di propaganda. 

Queste convinzioni – pur legittime – sollevano quanto meno delle perplessità. Innanzitutto, relativamente a ciò che si intende per “fascismo” e “antifascismo”. Dirsi antifascisti nel 2025, sotto il governo Meloni, non significa, infatti, temere che la presidente del consiglio si affacci dal balcone di piazza Venezia per annunciare l’impero d’Etiopia, o che torneranno le adunate del sabato. Per “fascismo” non si intende il ritorno di un regime storicamente confinato alla prima metà del secolo scorso, ça va sans dire. Si intende, invece, un coacervo di idee e posture politiche illiberali, afferenti a una torsione autoritaria degli assetti costituzionali, all’aperta ostilità nei confronti dei poteri di controllo, all’identificazione del leader con il popolo senza quell’inutile ingombro dei corpi intermedi, al controllo sulla morale privata, al nazionalismo identitario su base spirituale se non perfino etnica, all’avversione nei confronti delle minoranze e del dissenso, alla restrizione dei diritti civili…

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Dalla riforma costituzionale del premierato e dai continui attacchi alla magistratura (accompagnati dal chiaro intento di sottoporla all’esecutivo), emerge con ogni evidenza l’inclinazione di questa maggioranza verso una concezione autoritaria dello stato. L’immaginaria battaglia contro la cultura woke dietro cui si cela la volontà di imporre una morale retrograda e conformista è finalizzata esattamente al controllo della vita privata dei cittadini. Il famigerato quanto impraticabile “protocollo Albania” – alias il progetto di deportazione di povera gente che scappa da guerra e fame allo scopo eticamente ripugnante di deterrenza – evoca da vicino una concezione della cittadinanza che richiama i ben noti vaneggiamenti sulla “sostituzione etnica”. L’ultimo decreto sicurezza, varato pochi mesi fa, è pieno di norme liberticide che puniscono gravemente la manifestazione del dissenso: si pensi all’inquadramento penale dei reati di blocco stradale, di ecoattivismo, di resistenza non violenta alle forze dell’ordine…

Il camaleonte fascista, negli anni Venti del 2000, è capace di assumere forme diverse rispetto al regime mussoliniano, ma non necessariamente meno pericolose. Soprattutto se inserite in una tendenza internazionale che va nella stessa direzione.

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Allo stesso modo, per “antifascismo” non si deve intendere semplicemente la banale professione di ostilità verso il fascismo storico. Essere antifascisti oggi, nell’Italia in cui è consentito organizzare raduni in camicia nera ma le dichiarazioni di antifascismo causano l’identificazione da parte delle forze dell’ordine, significa opporsi alla deriva illiberale in cui il governo Meloni sta trascinando il paese.

La nostra costituzione – checché ne pensi il presidente del senato Ignazio La Russa – fa implicita professione di antifascismo in ogni singolo articolo. L’antifascismo del 2025 comprende la difesa dei diritti sociali, dell’integrazione delle minoranze, della pace, della giustizia sociale, del welfare state,

della dignità del lavoro, delle libertà civili. L’articolo 3 della Carta spiega mirabilmente che senza giustizia sociale non può esserci libertà, e senza libertà non c’è democrazia. Un governo che persegue politiche economiche iperliberiste, che è accondiscendente verso l’evasione fiscale, che definanzia sanità e scuola pubbliche, che elimina il rdc senza sostituirlo con altre forme di ammortizzatori sociali è un governo che vuole una società disuguale, classista, ingiusta.

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Insomma, essere antifascisti a 80 anni dalla fine del fascismo, non significa altro che voler attuare davvero la visione della società che emerge dalla Costituzione, e opporsi strenuamente a chi ispira la propria azione politica a concetti e valori profondamente antidemocratici.

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