Dopo Liliana Segre, è Edith Bruck – scrittrice, testimone della Shoah e figura centrale dell’ebraismo italiano – a levare una voce netta e coraggiosa contro la deriva del governo israeliano. In un’intervista al Quotidiano Nazionale, Bruck interviene con parole durissime sulla situazione a Gaza, sull’operato di Netanyahu e sulla necessità di una ribellione morale e civile, anche dall’interno di Israele.
«Ribellarsi, contestare il governo Netanyahu giorno e notte, disobbedire anche nell’esercito». È questo, secondo Bruck, l’unico modo per fermare la spirale di violenza e restituire dignità e giustizia alla popolazione palestinese.
Parole che pesano doppiamente perché pronunciate da una sopravvissuta all’Olocausto, che non esita a denunciare l’abisso in cui rischia di sprofondare lo Stato d’Israele: «Quello che accade a Gaza è molto, molto doloroso per me, e credo che sia lo stesso per tutti. Netanyahu sta provocando uno tsunami di antisemitismo, perché tutti identificano gli ebrei con il governo israeliano. Ma la maggioranza degli ebrei e degli israeliani non è assolutamente d’accordo col governo Netanyahu. In Israele stanno protestando, ogni sabato ci sono manifestazioni contro Netanyahu, ma lui è sordo e cieco e si appoggia alla destra religiosa, che invoca la violenza in nome di Dio. Questo è terribile. Usare Dio per uccidere è una cosa mostruosa. Lo hanno fatto tutti, anche i nazisti».
Un’accusa che non lascia spazio a fraintendimenti. E una chiamata alla responsabilità collettiva: «I cittadini israeliani potrebbero, secondo la scrittrice, “protestare di più. Non solo il sabato, ma tutti i giorni, anzi giorno e notte. Anche assediando la casa-bunker di Netanyahu e della moglie. Questo è il momento di ribellarsi. Molti soldati non vogliono essere coinvolti nelle operazioni a Gaza. Io credo che tutti, nell’esercito, dovrebbero ribellarsi e non eseguire ordini che sono disumani. Bisogna dire di no. E poi nemmeno riusciamo a capire a che cosa si voglia arrivare nella Striscia”».
Bruck critica duramente anche l’immobilismo delle istituzioni occidentali. L’Europa, dice, resta paralizzata dalla colpa storica, e gli Stati Uniti non trovano il coraggio di fermare il flusso di armi verso Tel Aviv: «In Ue invece “parlano, parlano, parlano, ma non ci sono fatti. Niente cambia. Per l’Europa è sempre stato molto difficile intervenire perché si porta dietro una colpa infinita e imperdonabile, e quindi non vuole mettersi contro i governi di Israele. I tempi però sono cambiati e certe posizioni andrebbero riviste. Gli Stati Uniti dovrebbero smettere di inviare armi a Israele, così gli attacchi a Gaza potrebbero finire. Non osano farlo, probabilmente, per le pressioni degli ebrei americani”».
E infine indica la sola soluzione possibile: «La via d’uscita sarebbe “creare uno Stato palestinese, a quel punto cambierebbe tutto”».
Dalle parole di Edith Bruck emerge non solo l’urgenza politica, ma una ferita profonda nella coscienza ebraica: quella di chi, memore della propria tragedia, non può tacere davanti al dolore inflitto ad altri.